La costa Azzurra la inventarono gli americani, e almeno di questo bisogna essere loro grati. Fino al XVIII secolo la natura senza cultura non esisteva, e se gli inglesi facevano il Grand Tour, i francesi lo chiamavano Voyage en Italie, ma bene o male era la stessa cosa. Ancora nell'Ottocento l'Italia rimane la meta privilegiata dei Flaubert, degli Stendhal, dei Tolstoj e degli Henry James, ma dal litorale a sud delle Alpi comincia a soffiare un venticello che parla di un genere mondano nuovo, fatto di palazzi, casinò e terrazze, grandi vasi di fiori e giardini di piante... Nel 1887 Stéphen Liégeard ribattezza «Costa Azzurra» la riviera che va dal Castello di If, davanti a Marsiglia, sino a Genova, e l'invenzione inglese della villeggiatura vi celebra il suo apogeo a fine Ottocento. Ci si cura, ci si diverte, ci si innamora. Lo si fa da settembre ad aprile, l'estate è considerata una stagione insalubre, il Mediterraneo un mare interno, caldo e stagnante... «Nessuno che fosse qualcuno - scriverà Elsa Maxwell per rendere meglio il senso della rivoluzione che sta per compiersi - veniva avvistato nel sud della Francia durante luglio e agosto». Zelda Fitzgerald, nel suo Lasciami l'ultimo valzer, racconta di come sui transatlantici che collegavano gli Stati Uniti all'Europa i viaggiatori esperti mettessero sull'avviso i novizi riguardo i pericoli che li attendevano: «I loro bambini avrebbero preso il colera, gli amici sarebbero stati morsicati a morte dalle zanzare francesi, da mangiare avrebbero trovato solo carne di capra e niente ghiaccio per i liquori».
Fu Cole Porter l'uomo che fece la rivoluzione d'estate. Insieme con la bellissima moglie Linda affittò nel 1921 per l'intera stagione lo Château de la Garoupe a Cap d'Antibes. Se il celebre musicista fu il primo a rompere il tabù, furono Gerald e Sara Murphy a trasformare quella rottura in uno stile di vita e a fare della Costa Azzurra una filosofia.
Bella lei, aitante lui, ricchi entrambi, relativamente giovani, fecero da catalizzatori di un ambiente e di un'epoca. Gerald dipingeva, era amico di Picasso e Léger, posava per Man Ray. Ospiti il primo anno dei Porter, l'anno dopo convinsero il manager dell'Hôtel du Cap ad aprire «fuori stagione» solo per loro e a lasciargli una cuoca e una cameriera.
In seguito acquistarono lo Chalet de Nielles sotto il faro di Cap d'Antibes, lo ristrutturarono e gli diedero il nome di Villa America. Sarà una delle preferite da Le Corbusier.
I Murphy ricevevano, ma senza esagerare. Dirà Sara: «Ci si voleva bene, volevi vedere i tuoi amici il più spesso possibile e così spesso li vedevi tutti i giorni. Era come una grande fiaba e eravamo tutti molto giovani». Secondo Donald Ogder Stewart, lo sceneggiatore premio Oscar di Philadephia Story, uno dei capolavori della sophisticated comedy americana degli anni Trenta, la vita dei Murphy assomigliava davvero a una fiaba: «Avevano tre bambini d'oro, si amavano, avevano il dono di rendere piacevole la vita delle persone che avevano la fortuna di essere loro amiche». Negli anni Trenta la favola si interruppe, i Murphy tornarono in America, la Costa Azzurra era divenuta troppo di moda, e quindi fuori moda, il cambio franco-dollaro non era più così favorevole... A metà di quel decennio la fiaba si mutò in tragedia, la morte improvvisa di due dei tre giovani figli. «Il destino non ha più frecce nel suo arco per ferirvi come ha fatto con queste», scrisse alla coppia il vecchio amico Francis Scott Fitzgerald. «La coppa d'oro ora si è rotta, certo, ma era d'oro, e niente adesso può più portarvi via quei ragazzi».
Dell'«invenzione» della Costa Azzurra, nel secondo dopoguerra il compendio e l'epitome sarebbe diventata Saint-Tropez, facendone un utilizzo squisitamente francese. L'avevano scoperta per primi i pittori, Signac, Matisse, de Segonzac, che si ritrovavano al bar dell'Hôtel Sube, dove adesso c'è il Café de Paris. Poi era stata la volta della scrittrice Colette, dei registi Julien Duvivier e René Clair. È di quest'ultimo il primo film tropèzien, Il sole ha sempre ragione, con Tino Rossi e Micheline Presle. Venne girato a La Ponche, «la punta», il quartiere dei pescatori abbarbicato sulla città vecchia che sovrasta il porto. Qui, quartiere, luogo, ritrovo, all'inizio degli anni '50 arriveranno da Parigi gli «esistenzialisti», anche se nessuno di loro sapeva bene che cosa questa definizione significasse. Si chiamavano Juliette Gréco, Boris Vian, Pierre Brasseur, erano attori, musicisti, cantanti, attori. La ribattezzarono Saint-Tropez des Prés. Più o meno contemporaneamente, La Ponche era intanto divenuta un albergo, la giovanissima Françoise Sagan, l'autrice di Bonjour tristesse, vi fece il suo viaggio di nozze e Roger Vadim girò proprio lì Et Dieu... créa la femme, il film che farà di Brigitte Bardot la nuova divinità da adorare...
Di tutto questo, e di moltissimo altro ancora, dà conto Il romanzo della Costa Azzurra di Giuseppe Scaraffia (Bompiani, pagg. 379, euro 19,50), la più completa e strabiliante enciclopedia di nomi e luoghi di quella infinita spiaggia dorata da Mentone a Marsiglia che fra l'Ottocento e il Novecento fu un'icona dell'immaginario geografico e il simbolo vivente della modernità. Con un intelligente lavoro di montaggio, Scaraffia in 36 tappe dà voce alle mille voci di un'epoca dorata, gli «ultimi fuochi» che celebrarono l'esclusività come un dato naturale. Curiosamente, fra le immagini che corredano il volume, una dovrebbe indicare Romain Gary e Jean Seberg, allora marito e moglie, ma non giureremmo sulla sua esattezza. Più probabilmente è David Niven, l'uomo ritratto in accappatoio nella foto, scattata sul set, che in Bonjour tristesse era il partner cinematografico della Seberg.
Più che di un gentleman, Gary del resto aveva l'allure di un principe mongolo, ma va detto che l'attore inglese, peraltro scrittore di talento, lì era di casa, proprietario di una delle ville più belle intorno a Cap Ferrat. Nel «romanzo della Costa Azzurra» non avrebbe sfigurato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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