Braibanti, intellettuale gay condannato per plagio

Braibanti, intellettuale gay condannato per plagio

Aldo Braibanti è morto due giorni fa, a 91 anni, anche se la notizia è stata data solo ieri dalla famiglia. Braibanti è stato molte cose: partigiano, filosofo, artista, regista, scrittore, omosessuale dichiarato. Però molto spesso a essere ricordate non sono state le sue opere poliedriche: si va dal cinema-teatro sperimentale di Transfert per kamera verso Virulentia alle poesie di Frammento Frammenti. Il suo nome, infatti, è rimasto indissolubilmente legato a un celebre processo in cui fu accusato di aver «plagiato» due giovani discepoli. La sua condanna a 9 nove anni è rimasta l'unica nella storia repubblicana per questo tipo di reato, poi abolito nel 1981.
Ecco i fatti. Braibanti, che aveva alle spalle una robusta produzione culturale, dal 1959 andò ad abitare in una vecchia torre a Castell'Arquato dove aveva creato un cenacolo in cui si discettava di filosofia e arti figurative. Tra i frequentatori, due diciottenni si rivelarono i discepoli più affezionati, trascorrendo assieme a lui periodi lunghissimi. Uno dei due lo seguì anche nel suo spostamento a Roma. Le reazioni non si fecero attendere. Venne sporta denuncia e Braibanti fu accusato di averli plagiati. Non valse a nulla il tentativo di uno dei due di difendere Braibanti, arrestato il 5 dicembre 1967, dichiarando di aver scelto volontariamente il rapporto con lui: il giovane finì per essere rinchiuso dalla famiglia in manicomio. L'altro discepolo, invece, depose contro Braibanti.
Il 14 luglio 1968 fu condannato a 9 anni di carcere e il 27 settembre 1969 la Corte d'Appello ridusse la pena. La condanna suscitò comunque ampia eco e a favore di Braibanti si mobilitarono numerosi intellettuali: Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio... Così ad esempio si espresse Carmelo Bene su quel processo: «Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l'Italia... Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale...».

Più di dieci anni dopo la Corte costituzionale abolì il reato considerandolo un nonsenso giuridico. A Braibanti, il quale dopo la prigione aveva proseguito una lunga attività intellettuale, nel 2006 era stato concesso il vitalizio della legge Bacchelli.

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