C'è ancora il West E vale molto più di un pugno di dollari

C'è ancora il West E vale molto più di un pugno di dollari

Quella vecchia spugna del presidente Ulysses Simpson Grant è morto da poco. Un ventennio dopo, la guerra di secessione che lui aveva orientato verso la vittoria dei nordisti è un triste o glorioso ricordo, dipende dai punti di vista. Ma anche nell'altro mondo il dopoguerra, parafrasando von Clausewitz, è la continuazione della guerra con altri mezzi. Non ci sono più due eserciti contrapposti, certo, ma a sfidarsi sono ancora i destini dei singoli, e sempre di pallottole si tratta, sempre di duelli (a volte di «trielli», con il terzo incomodo), sempre di dollari, in fin dei conti, come ci ha insegnato proprio la «Trilogia del dollaro» del mitico Sergio Leone. Per un pugno di dollari ci si ammazza, per qualche dollaro in più ci si massacra. E che uno sia buono, brutto o cattivo non fa differenza: ad attendere tutti è un cimitero...
Per i buongustai del genere, gli spaghetti-western non scuociono mai. Ce lo dimostra l'appassionata e appassionante fiction storica Il buono, il brutto e il figlio del cattivo (Bompiani, pagg. 165, euro 16, in uscita giovedì prossimo). L'ha scritta un ex ragazzo di 68 anni, Nelson Martinico. Tre anni fa aveva esordito con Dovevamo saperlo che l'amore, romanzo pubblicato dalla salentina Lupo Editore, e per il titolo aveva preso in prestito il penultimo verso di una poesia di Vincenzo Cardarelli. Siciliano, da picciriddu Nelson amava il calcio e la letteratura. E se il primo lo tradì, per colpa di un infortunio che gli stroncò la promettente carriera, la seconda continua a essergli amica. Ex barman, ex attore nei circoli teatrali universitari, ex stuntman in alcuni film, guardacaso del genere spaghetti-western, Giuseppe Elio Ligotti (così detta l'ufficio anagrafe) è anche stato docente di greco e latino, quindi l'epica gli scorre nelle vene e raggiunge i polpastrelli. Con i quali ha buttato giù, memore non soltanto di Achille e di Enea, ma anche dei fumetti divorati da ragazzino, per esempio quelli di Blek Macigno, il sequel delle avventure picaresche del Biondo, di Tuco e di Sentenza. Un bel modo per ricordare il vate dell'epica italo-western a 25 anni della scomparsa, che cadranno il prossimo 30 aprile.
Dunque, due decenni sono passati dal termine della civil war, però di civil, nel sud degli Stati che si ritrovano Uniti, c'è ancora poco. Lo sa bene Tuco, il Brutto. Sta contando i giorni, anzi le ore che lo separano dalla libertà dopo aver marcito vent'anni in galera a Yuma. In carcere era finito sotto il peso di una lunga lista di capi d'imputazione. Omicidio escluso, però, per gentile omaggio del suo... mancato giustiziere, il Biondo, il quale si è adoperato in suo favore non per amicizia, ma nella speranza di metter le mani sui centomila dollari nascosti dal messicano, la metà mancante del bottino.
Così si apre il romanzo, con Tuco sessantenne incattivito dalla cattività in cella. Tanto più che un tale Morales gli rivela che il Biondo è ancora in circolazione: è diventato impresario del circo «di quel mezzo finocchio baffuto del colonnello Cody, quello che chiamano Buffalo Bill». Ed ecco il colpo di genio dell'autore, l'impulso al meccanismo che fa ripartire la vicenda: il Biondo non è altri che Ned Buntline, ovvero Edward Zane Carroll Judson, ovvero il biografo di Buffalo Bill. A questo punto siamo tornati in possesso di due lati del triangolo magico, al Brutto si è aggiunto il Buono. Ma il terzo lato, il Cattivo alias Sentenza, riposa in pace (si fa per dire) da un bel po'. Come fare per risuscitarlo? Semplice, lo si sostituisce con suo figlio, John Wiseacre (alla lettera, «Sputasentenze»), pistolero abilissimo quanto e forse più del paparino, ma religioso fino al bacchettonismo. Il guaio è che della Bibbia predilige il Vecchio Testamento, quello permeato di violenza e vendetta, e che la sua missione è suonare il Requiem a colpi di colt a chi gli ha fatto secco il genitore.
Insomma, mamma, butta la pasta, ma che siano spaghetti-western, non vediamo l'ora di (ri)farcene una scorpacciata. Il sugo e le spezie scelti dal prof Ligotti, libero docente in revisionismo di Frontiera, sono gustosissimi. Prima del redde rationem abbondantemente farcito di sorprese, incontriamo infatti, in ordine di apparizione: l'indiano Cochise, amico di gioventù di Tuco; Armonica (ricordate il Charles Bronson di C'era una volta il West?), che vuole realizzare l'ospizio «Le Vecchie Volpi» per pistoleri e suonatori anziani; James Butler Hickok, Doc Holliday, Wyatt Earp, Wes Hardin, Bat Masterson, ovvero il fior fiore delle canne fumanti del Paese; Jill (lei non potete averla dimenticata, è la splendida Claudia Cardinale, sempre in C'era una volta il West), diventata moglie di Armonica e, dopo la sua dipartita, del Biondo.
Ma soprattutto incontriamo l'Omero del Mississippi, il Virgilio delle carovane: Mark Twain. Il suo incontro con il collega Ned Buntline, alias il Biondo, alias il Buono offre a Martinico alias Ligotti il destro per riflettere sul valore della letteratura. «La più grande differenza tra realtà e fantasia è che la fantasia deve essere credibile», dice Twain citando un proprio aforisma.

Ligotti concorda, e rammenta l'amato Cardarelli: «Dovevamo saperlo che l'amore/ brucia la vita e fa volare il tempo».

PS. Promemoria per Quentin Tarantino: telefonare urgentemente a Martinico-Ligotti. C'è una sceneggiatura già scritta per il suo prossimo film.

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