Il capitalismo è spompo Gli anticapitalisti ancora di più (purtroppo)

Non è detto che l’Occidente si esaurisca nel libero mercato. Ma le idee alternative sono poche e sanno tutte di vecchio

Il capitalismo è spompo  Gli anticapitalisti  ancora di più (purtroppo)

Non credo all’eternità del capitalismo e tantomeno alla sua insuperabile perfezione. Non credo che l’Occidente si esaurisca nel Libero Mercato, non credo che l’Europa si identifichi con l’americanizzazione del mondo e non credo che la civiltà coincida con la civilizzazione, prodotta dalla tecnica e dall'economia. Condivido la denuncia di Franco Cassano che viviamo la deriva dell’egonomia, ossia dell’economia rivolta al solo individuo, che nasce, si muove e si realizza solo nella dimensione privata, singola e utilitaristica. Condivido la denuncia di Costanzo Preve che con i tecnici al governo si esplicita il dominio delle oligarchie finanziarie transnazionali sulla sovranità statale, popolare e nazionale.

Condivido la tesi di Elido Fazi che è in corso la terza guerra mondiale, le banche contro i popoli. Condivido la denuncia di Giorgio Agamben sulla religione del denaro che divora il futuro, e mi sembra di leggere Ezra Pound e i suoi seguaci, da Auriti ad Accame. Condivido la critica di Pietro Barcellona al neoliberismo tecnocratico e di Roberto Esposito alla mistica del capitalismo. Condivido il monito del cardinal Bagnasco contro «l’economismo» che subordina la persona al profitto. Condivido la denuncia di Marco Guzzi che l’alienazione prodotta dal dominio dei tecnici ha raggiunto un grado tale che non siamo nemmeno capaci di riconoscerla...

Dopo aver tutto sottoscritto, riconosco che da questa critica così necessaria, vera e severa, non scaturisce altro che un nuovo pensiero negativo, ovvero una formidabile teoria critica della società presente e dei suoi altari, ma non sorge nulla di adeguato che possa sostituire o compensare il dominio presente. Balenano solo vaghe invocazioni di rifugi: nella democrazia, per taluni, o peggio nel triangolo partiti-sindacati-intellettuali; nella religione, per altri, che però è avvertita al tramonto almeno da noi dove si è spento il Dio storico che si fece Provvidenza, fede e monoteismo. O combinando prospettive fumose di democrazia, ecologia, diritti umani e spiritualità. Se la teoria non basta, affacciamoci nel mondo: c’è qualcosa di notevole e di promettente che si muove oltre il capitalismo? Nulla, in verità, nulla. Inesportabili i modelli economico-culturali dell’Oriente estremo, e quelli di Cina e India, dove tutto è diverso da noi: numeri, demografia, provenienza, forma mentis e cultura, classi e situazione sociale. Niente di diverso affiora in Europa, qualcosa forse di retrò e di pittoresco in sud-America, ma nulla che si adatti all’Europa.

E allora il problema vero oggi non è l’avvento dei tecnici e il primato mondiale dell’economia, ma l’inespressività della politica, la sterilità della cultura e l’assenza di orizzonti ulteriori o alternativi, antagonistici, divergenti o anche solo supplementari. Qual è il modello di riferimento culturale e politico, civile ed economico a cui riferirsi per superare il presente? Non c’è elaborazione di pensiero né sperimentazione pratica. Il Nulla.

Da noi, ad esempio, cresce nei giardini della filosofia una parola che si fa tam tam: realismo. Ne scrivono Eco, Esposito e Maurizio Ferraris, autore di un brillante Manifesto del nuovo realismo (Laterza). Ma non è il realismo cristiano della tradizione aristotelica e tomista né il realismo letterario di De Sanctis, il realismo machiavellico di Schmitt e nemmeno il realismo socialista di Luckàcs, il realismo scientista dei positivisti o il neorealismo cine-letterario. È un realismo di cui sfuggono i contorni, il senso e l’attinenza con la realtà; dove l’ontologia non sfiora l'Essere ma l’i pad. Il pensiero si fa digitale, il reale è touchscreen. Il realismo qui si oppone al reality e al populismo, frutti estremi del postmoderno, e si fa neoilluminista. Viene brandita la verità oggettiva contro le interpretazioni, ma una volta squalificata l’avversa interpretazione, viene revocata. Verità a intermittenza (un’applicazione filosoficamente imbarazzante di questa teoria apparve su Micromega dove i filosofi «realisti» richiamavano in servizio la Verità solo per condannare Berlusconi, criminale oggettivo; e poi tornavano al soggettivismo e al relativismo). Un realismo senza realtà e senza fondamento, inevitabilmente negativo, come coerentemente lo definisce lo stesso Eco.

Che parte da San Tommaso e finisce a Francoforte, da Adorno, Marcuse e il pensiero negativo, previo tappa di ristoro da Popper per dotarsi di munizioni scientifiche e passaporti liberali. Una circumnavigazione di mezzo secolo, dal Gruppo 63 al realismo negativo, senza re e senza realtà. Non vedi passione di verità e amore di realtà, scorgi solo teorie che rispondono a teorie e citano teorie, filosofie ironiche che reputano insensato puntare al cuore della condizione umana e ai suoi rapporti tra cielo e terra, nascere e morire.

Lo sconforto che ci resta, allora, non è legato solo al dominio dell’Egonomia o dell’Economismo, del Denaro o dei Tecnici ma all’assenza di ogni principio, esperienza o fonte alternativa e praticabile. Tutto quel che c’è di diverso, resta relegato nel passato e a volte negli orrori del passato: il comunismo e il socialismo democratico, il fascismo e il nazionalismo, il cattolicesimo solidale e il vecchio statalismo, il paternalismo e il tradizionalismo antimoderno. E oggi? Se non esistono più valori occorre essere valorosi, dice Nietzsche, ossia caricare quel deficit sulle spalle di eroici soggetti. Ma dove sono i valorosi in grado di compiere questa gigantesca Rivoluzione? Non s’intravedono. Ma è pur vero l’inverso, che non possiamo accettare la fine di ogni pensiero e ogni cambiamento ed eternizzare il presente e il suo dominio. Non possiamo restare per sempre avvitati all’economismo e alla tecnocrazia.

Perciò è bene che il pensiero si situi là sulla soglia a scrutare quel che si muove e quel che si spegne, a richiamare criticamente esperienze antiche, a discernere da ciò che è passato quel che invece resta vivo; e infine a suscitare almeno l’appetito della realtà in cerca di verità e in vista dell’avvenire. Un pensiero lieve e possente... Viceversa, se dichiariamo morto, impensabile e impraticabile ogni tentativo di pensare un diverso futuro, siamo solo automi o cadaveri.

Cioè privi di vita o di libertà, di progetto o di animazione; o di ambedue, come è più probabile. E allora facciamo tesoro delle teorie critiche ma poi apriamo le finestre per vedere il mondo, stelle incluse, e per cambiare aria.

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