Cultura e Spettacoli

Il caso La prima volta del Vaticano

da Venezia

Anticipato dai dubbi e le polemiche che da sempre seguono la vita e la storia della Biennale di Venezia, il Padiglione della Santa Sede, ordinato da Gianfranco Ravasi e curato da Antonio Paolucci (con la direzione di Micol Forti e Pasquale Iacobone) è una sorpresa e una risposta allo stesso tempo. Presenta una scelta ineccepibile e stringata, una selezione intima destinata a far riflettere sul valore e sulla funzione delle immagini. Nessuna concessione agli eccessi iconografici che da molti decenni contraddistinguono una religione assediata dalla secolarizzazione, ma un tema, la «Creazione», che è assolutamente in linea col titolo e col gusto della Biennale internazionale e snoda il racconto accostando tre artisti e un gruppo. Lo introduce Tano Festa, con le rivisitazioni pop della Cappella Sistina, lo sviluppa l'installazione di Studio Azzurro, lo concludono due artisti scelti con cura, diversissimi l'uno dall'altro, Josef Koudelka e Lawrence Carroll. Creazione, De-Creazione e Ri-Creazione costituiscono l'asse intorno al quale i processi innescati dalle immagini dialogano col mondo.
E se Tano Festa stupisce sempre, con la parossistica citazione di alcuni dei brani più celebri della Cappella Sistina, una «trilogia» coloratissima e intensa, l'installazione interattiva di Studio Azzurro punta sugli aspetti più dolorosi e problematici dell'esclusione, della difficoltà del diverso, dell'emarginazione.
Le fotografie del ceco Josef Koudelka privilegiano gli aspetti più drammatici del rapporto tra uomo, tempo e natura, ponendo l'accento sul labile confine di trasformazione e distruzione, mentre le partiture monocrome di Lawrence Carroll, australiano che vive negli Stati Uniti, affidano a quattro grandi wall painting una riflessione sulle «sensazioni dell'attesa, della sfida e della gioia».
«Mettere al mondo il mondo». Forse si poteva anche citare il fantastico titolo dell'opera di Alighiero Boetti, datata 1972, che giocava sulle potenzialità creative del linguaggio, delle lettere e dei segni. L'idea del titolo Genesi. In Principio, scelto dal Commissario, si realizza dunque attraverso una sorta di sfida sottile: l'arte sacra contemporanea non è una parodia di quella antica, non è necessariamente la citazione pedissequa dei maestri storici: è anche una domanda. Ma la risposta esiste, freme dalle pareti, è una presenza che si sente, è un ascolto.


Non santi, non immagini «sacre» ma la vita e nient'altro, nella sua santità, nella sua insostenibile pienezza.

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