In cerca della propria identità nel paranoico mondo Twitter

Il guru della fantascienza William Gibson, dopo aver inventato il cyberspazio, illumina l’universo ambiguo dei nuovi media. Dove vince chi si nasconde meglio

In cerca della propria identità nel paranoico mondo Twitter

«Il futuro è già qui, è solo mal distribuito!». Lo scrittore William Gibson ha fatto da sempre suo questo motto per spiegare ai suoi lettori i suoi intenti narrativi. Il maestro del cyberpunk ha sempre preferito definirsi un narrato­re di eventi contemporanei piuttosto che un profeta di eventi futuri, anche quando nelle sue storie si è trovato ad anticipare eventi tecnologici e mediati­ci.

Questo suo desiderio di contempora­neità rispetto agli eventi narrati è ri­scontrabile anche nel recentissimo Zero History (Fa­nucci, pagg. 560, euro 12,90) dove per la prima volta Gibson mette al centro di un ro­manzo il mondo dei social network: Face­book e Twitter, ma anche Youtube. I personaggi sono investiti dal mondo delle nuove applicazioni, e totalmente dipendenti da un universo informati­co divenuto pieno di mode più che di soluzioni tecniche davvero innovati­ve.

Mode che possono imprigionare la creatività e portare a esiti ambigui. Uno dei messaggi che attraversa tutta la storia è infatti che troppe informazio­ni risul­tano ingestibili e spesso danno­se per chi le riceve. Già Platone sostene­va che il massimo della conoscenza umana corrispondesse al punto più vi­cino alla sua distruzione. William Gib­son sembra confermare questa idea raccontando in presa diretta i nuovi processi tecnologici.

In capolavori precedenti, come Neu­romante ( 1984) o La notte che bruciam­mo Chrome ( 1986), il geniale narratore di Conway era arrivato a ipotizzare l’esi­stenza del cyberspazio ( anticipando in qualche modo la nascita di Internet). In Zero History si concentra invece sul presente e decide di passare a setaccio soprattutto i nuovi feticci tecnologici, arrivando a porsi domande inquietan­ti sul mondo delle darknet, le impene­trabili reti virtuali private, che si insi­nuano negli iPhone e in Twitter. I nuo­vi strumenti sono fantastici ma paralle­lamente danno dipendenza alimen­tando fobie e paranoie.

Ne esce un thriller che mischia ele­menti fashion, produzioni belliche in­dustriali, marketing virale e antropolo­gia­comportamentale in maniera adre­nalinica.

Zero History è una storia che rimacina le ossessioni scaturite dopo gli eventi dell’11 settembre e le riproiet­ta, amplificandole, in una situazione paradossale. Protagonista delle vicen­de è l’avvenente ex cantante rock Hol­lins Henry (già conosciuta dai lettori nelle pagine del precedente romanzo Guerreros ) che, divenuta giornalista in una società in cui i giornali contano or­mai poco, accetta di lavorare per Hu­bertus Bigend. Questo grande magna­te, esperto di marketing globale, vor­rebbe reclutare il misterioso creatore della linea d’abbigliamento Hounds Gabriel per convincerlo a produrre nuove rivoluzionarie uniformi per l’esercito statunitense. Bigend è pro­fondamente convinto che tutta la mo­da del XIX secolo sia stata influenzata dall’abbigliamento militare, e che ci sia un nesso tra la bellezza dell’unifor­me e il numero degli arruolati. Ora il si­stema bellico statunitense è andato in crisi, e per poter reclutare nuovi solda­ti, è necessario trovare nuovi abiti che rendano «alla moda» entrare nelle for­ze armate. Un’idea strampalata? O la chiave di accesso a misteri altrimenti insondabili? Bigend conosce a menadi­to le tecniche di «guerrilla marketing» ma ha bisogno di uno stilista che dia ri­sonanza alla sua campagna e così Hol­linsHenryel’espertodicrittologiaMil-grimcercanodiscovareedareun iden­tità al miglior disegnatore presente sul mercato, l’individuo che con il mar­chio The Hounds Gabriel sembra aver stregato gli acquirenti di mezzo mon­do. La «campagna acquisti» di Bigend si rivelerà pericolosa e incontrollabile. William Gibson curiosamente non ha mai voluto registrarsi su Facebook mentre da anni è un fervente seguace di Youtube e si diverte a fare in modo che la sua eroina Hollins Henry sia con­tinuamente tentata da quel mondo che nella sua memoria digitale contie­ne le performance musicali del suo pas­sato con la band dei The Curfew , un mondo che apparentemente in Inter­net continua ad essere vivo e cliccato. Spetta poi però al personaggio dello studioso di linguaggi Milgrim com­mentare nel libro il rapporto fra la nuo­va tecnologia e i suoi utenti quando af­ferma, parlando di Twitter: La parano­ia è troppa informazione ». E se nei pre­cedenti romanzi di Gibson era impor­tante per i protagonisti entrare nel cy­bespazio al fine di commettere crimini e assumere una nuova vita, gli avventu­rieri di Z­ero History cercano invece infi­niti sotterfugi per sparire dalla Rete, in­ventando nuovi nickname (pseudoni­mi) che difendano la loro vera identità; o cambiando frequentemente schede ai loro iPhone per accedere alle sotter­ranee darknet (dove la comunità vir­tuale privata è ridotta al minimo e appa­rentemente sicura).

Insomma,nell’epoca della massima

comunicazione, ci suggerisce William Gibson, è meglio sparire se si vuole riac­quistare la propria libertà. La visibilità in rete ti rende famoso ma ti trasforma in un facile bersaglio. E non sempre è fa­cile capire chi è il nemico.

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