Non so perché Roberto Gervaso non si veda da tempo nei soporiferi talk show, dove, se proprio devono, chiamano qualche storico zombie universitario, di quelli che almeno una volta sono stati ospiti di Gad Lerner e che quando insegnano ti fanno passare la voglia di studiare la Storia, soprattutto quella italiana. Oppure, peggio ancora, l'onnipresente Beppe «The pen is on the table» Severgnini. Di certo Roberto non ha perso la verve, anzi. Come testimonia il suo ultimo libro edito da Mondadori, dal titolo emblematico: Lo stivale zoppo. Nel quale, sorpresa, Mussolini non è morto nell'aprile nel 1945 ma è scappato in Svizzera per poi tornare in Italia sotto le mentite spoglie del giornalista Porfirio Oriani.
È solo un pretesto narrativo per raccontare un Paese pietoso, melmoso, vigliacco e ipocrita come pochi altri, un «Paese di pappagalli e di scimmie esterofili». Ecco un piccolo dizionario gervasiano, tratto dal libro che forse avrebbe scritto Benito se fosse diventato Porfirio.
ANTIFASCISTA: «Le redazioni si riempirono di mezze calzette dell'intellighenzia che pretendevano galloni sproporzionati ai loro meriti. La qualifica di antifascista divenne un passe-partout, i somari con la tessera di sinistra si imbaldanzirono. Saliti in cattedra, si misero a predicare con un fervore reso più focoso dall'ipocrisia il verbo marxista, senza aver letto Marx e neppure Togliatti, ma solo Pitigrilli e Topolino».
COSTITUZIONE: «Una carta pomposa e democratica che, preso atto del fallimento dello Stato liberale e della iattura di quello fascista, rafforzava il parlamento e indeboliva l'esecutivo, che sarebbe divenuto ostaggio e lo zimbello dei partiti».
LAVORO: «L'italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Una premessa che diventerà l'incubo di quei profittatori e di quei parassiti che porteranno il debito pubblico nazionale a quattro milioni di miliardi di vecchie lire (fa più effetto), cioè duemila miliardi di euro».
ALDO MORO: «Un uomo languido, scivoloso, schivo e di poche parole. Se De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il sagrestano, lui sospirava con Marx, travestito da evangelista».
ENRICO MATTEI: «Usava i partiti come i taxi, i timoni del parastato finirono nelle mani dei protégés di questo o quel partito, di questo o quel leader, di raccomandati di ferro, di vecchi marpioni, spregiudicati e intraprendenti. I nostri guai datano da allora. Come i nostri bilanci in rosso, il nostro debito pubblico, il nostro spread».
DEMOCRISTIANI: «Nessuno meglio di loro incarnava l'italiano medio, l'uomo qualunque, egoista, familista, attendista e opportunista, che non credeva in niente, se non in quello in cui, in quel momento, gli conveniva credere».
RIVOLUZIONARI: «Se fossero stati Napoleone o Churchill l'avremmo capito. Ma si chiamava, il più autorevole e carismatico, Mario Capanna, un umbro tutto casa, scuola, chiesa, amico dei parroci, che scrisse un testo di alta teologia eretica per dimostrare alla sua fidanzata che potevano andare a letto prima del matrimonio».
SESSANTOTTO: «Diciotto-ventisette politico a tutti, bravi e somari, spalletonde e sgobboni. L'istruzione pubblica diventò la fucina degli asini e dei paraventi».
SESSANTOTTO 2: «Ci sarebbero voluti un De Gaulle, un Adenauer, un Churchill, o anche un De Gasperi o uno Scelba. Gente d'arme, non di sagrestia, samurai, non baciapile».
MARCUSE: «Chi lo lesse, non ci capì niente. Chi finse di leggerlo, ci capì ancor meno. Chi non lo lesse capì tutto».
RADICAL CHIC: «Con il cuore a sinistra, il portafogli a destra, l'attico in centro e i quattrini in Svizzera».
CASO MORO: «In una memorabile seduta spiritica, cui partecipò il noto medium Romano Prodi...».
CRAXI: «Dichiarò guerra - e che guerra! - all'inciucio clerical-marxista, la più torbida tresca della storia repubblicana, impedendo che i due sposi salissero all'altare e, coram populo, si cambiassero gli anelli».
CHIESA: «Che ficca il naso e mette lo zampino e lo zampone in faccende mondane che non la riguardano. Scaltra e tartufesca, ambigua e insinuante, negatrice nei fatti di quei valori che solennemente predica ex cattedra».
PUTTANE: «In un Paese dove una senatrice socialista aveva fatto chiudere i bordelli, salvo quello che tutti li ospitava: l'Italia».
PERTINI: «Allergico alle mezze misure e alla riflessione, diceva quello che gli passava per la mente, senza preoccuparsi che per la mente gli passasse qualcosa».
P2: «Di cui anche Roberto Gervaso faceva parte, senza avere mai attentato alla sicurezza dello Stato».
CALVI: «Che aveva dato soldi a tutti, comunisti compresi».
SCALFARO: «Di tutte le disgrazie che si abbatterono sulla repubblica, nessuna fu paragonabile a questa».
NAPOLITANO: «L'ostetrico Giorgio Napolitano».
BERLUSCONI: «Quando abitavo, suo ospite, a Milano in via Rovani, parlavamo spesso di donne».
BERSANI: «Che in un Paese civile sarebbe stato ristretto a una camicia di forza».
MONTI: «Un economista teorico che di economia non capiva niente. Con l'aggravante della pretesa di capire tutto. Un mandarino dell'economia, che aveva letto tanto e purtroppo anche scritto, ma non aveva mai fatto i conti della serva. Solo quelli delle multinazionali».
GRILLO: «Beppe è un attore, e che attore: vedendolo e ascoltandolo urlare, la pressione sale a noi, non a lui. A rischio d'infarto o di ictus siamo noi, non lui».
IL FUTURO: «Chi vivrà vedrà. Noi possiamo anche non vivere, ne abbiamo viste troppe».
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