«Quella mattina, ultimo giorno dell'anno 1942, XX dell'Era Fascista e terzo inverno di guerra, mi svegliai tardi, con la bocca impastata, l'alito pesante e gli occhi gonfi di sonno. Puzzavo d'alcol da fare schifo, fino a notte fonda ero rimasto in un attico di via della Camilluccia a bere pessimo whisky acquistato da un borsaro nero a Cinecittà, in compagnia dell'attore Amedeo Nazzari, dell'ex calciatore Piero Pastore... La guerra ormai volgeva al peggio»: ci sono un po' di Chandler e un po' di Hammett e un po' di vita vera, che pulsa eccome, specie nel ritmo e nell'ironia un poco di quartiere. Perciò non è certo il poliziottesco a far da modello allo stile letterario dei romanzi gialli del toscano Umberto Lenzi, classe 1931, uno dei registi di culto del cinema italiano per oltre un trentennio: negli anni Sessanta, con le riletture dei classici e il giallo erotico italiano vedi Sandok, il Maciste della giungla, A008 Operazione sterminio oppure Così dolce... così perversa; nei Settanta, vedi i "poliziotteschi" con Tomas Milian e Maurizio Merli, come Roma a mano armata, Milano odia: la polizia non può sparare, Il cinico, l'infame, il violento, e Ottanta, con l'invenzione dei cannibalici.
Si tratta di una serie, quella dei gialli firmati Lenzi, che ha per sfondo i set cinematografici più famosi della Cinecittà dei «Telefoni bianchi», un ambiente che il regista, allievo di Blasetti e amico e frequentatore dei grandi, da Rossellini a Soldati, da De Sica a Totò, ha frequentato lungo tutta la sua carriera. «Il primo, Delitti a Cinecittà, inizia nel 1939, mentre l'ultimo, Spiaggia a mano armata, è ambientato nel 1947» ci spiega lo stesso Lenzi. «Racconto la storia d'Italia, dallo scoppio della guerra fino alla ripresa della vita. E la storia del cinema italiano, perché ogni romanzo è imperniato sulla storia di un film, a partire da La corona di ferro di Alessandro Blasetti del 1941 con la coppia Ferida-Valenti». Così il regista riassume la pentalogia Roma assassina, già uscita in gran parte per Coniglio e ora ripresa da due grandi editori: il primo romanzo della serie, infatti, Delitti a Cinecittà, sarà in libreria a gennaio del prossimo anno per Mondadori, mentre due degli altri quattro titoli, Roma assassina e Carte in regola variati rispetto all'originale, si trovano già in ebook, e si attende on line il terzo, La guerra non è finita, per la collana Rizzoli First. Sarà poi la stessa Rizzoli a mandare in libreria a ottobre Spiaggia a mano armata. Questo perché, se il successo di critica è stato grande, maggiore è stato l'impegno di Lenzi nell'autopromozione: «Ho autografato centinaia di libri, con un tour che ha attraversato 24 città italiane. E finalmente i romanzi sono approdati ai grandi marchi». Patron del regista in questo lancio Giancarlo De Cataldo, che ha firmato anche la prefazione a Roma assassina, grato al cineasta di aver ispirato con Milano odia: la polizia non può sparare il suo blockbuster Romanzo criminale. Incentrata sull'investigatore privato Bruno Astolfi, ex commissario di polizia allontanato dal servizio per la sua scarsa simpatia per le Camicie Nere («A chi è ispirato? A me» ride Lenzi. «È toscano, gli piacciono le donne, il vino, i liquori forti e come me è arguto e presuntuoso») negli aneddoti e nei personaggi del set la serie trova il suo clima d'elezione. Per questo il gusto per il lettore è quadruplo e spazia dalla cinefilia alla passione per i romanzi di genere alla letteratura, fino alla storia: «Lo scoop di Roma assassina, in cui si narra che per il ruolo di comparse di colore nel film Harlem di Carmine Gallone vennero usati i negri americani prigionieri è tutto frutto di mie ricerche personali al Ministero della Difesa». E pensare che rischiavano di non essere mai scritti: «Nel 1983, tra un film e l'altro, vinsi al Mystfest di Cattolica con un mio racconto. Mi proposero di farci un romanzo. Lo scrissi e poi lo dimenticai. L'ho ritrovato vent'anni dopo, durante un trasloco.
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