Non c'è. Non c'è Frank Underwood. Forse non capirebbe neppure il gioco, troppo misero, troppe variabili, troppo mediocre perfino per uno come lui. Non è che non lo intrigherebbe sporcarsi le mani, il petto e le ginocchia di fango, ma se in America la democrazia è sopravvalutata, in Italia è un «non luogo». Quando chiedono a Giovanni Negri se Il gioco delle caste (Piemme, pagg. 413, euro 19,50) sia la versione italiana di House of Cards lui ti guarda con una certa compassione ironica. Nega e fa bene. Qui il potere è un circo che parte da Roma e arriva nelle profondità della provincia e delle comunità montane, nelle viscere, ristagna, cambia vestito ma ha sempre la stessa faccia, e mette in campo la ricetta infallibile: clientele.
Non c'è nulla di più sicuro che offrire un finanziamento pubblico, un posto, una speranza di vitalizio, una mezza pensione, uno spergiuro di sicurezza, una bestemmia di Stato e provvidenza.
Questo una volta, sostiene qualcuno. Adesso il potere non ha più vacche da mungere. E invece no, sguaiato continua a incantare. Non c'è la vacca? Pazienza, mungeremo lo stesso. È la mungitura per la mungitura e non è detto che un po' di latte per i più fortunati e perseveranti non arrivi davvero. «Ma voi credete che la gente voti col cuore o con la ragione? La gente vota con il portafoglio. È a quello che bisogna parlare».
È vero. L'Italia è più povera. Le risorse pubbliche sono scarse, gli affari con corsia preferenziale non sono più quelli di una volta, ma politici e clientes non hanno ridisegnato la loro visione del mondo. S ono soltanto più affamati e digrignano i denti e si scarnificano a morsi intorno al cadavere putrefatto della res publica .
Se poi accade che in Basilicata ci sia tanto petrolio da naufragare quello che vedi non è l'eden ma, appunto, Il gioco delle caste . «Dal giorno in cui è stata ribattezzata “casta”, la classe politica non ce la fa più a coincidere con il potere. Altre caste hanno mosso all'attacco, ai vecchi squali si sono affiancati lupi, orsi e sciacalli, sancendo finalmente ciò che a tutti è ora visibile. Il nuovo potere italiano è una diligenza a bordo della quale, ben più che la casta ferita a morte, si sbracciano nuovi protagonisti, poco importa se magistrati vendicatori, porporati ambiziosi, giornalisti capipopolo, imprenditori delocalizzati e banchieri d'assalto».
Quattro personaggi, quattro carte, quadri, fiori, picche, cuori, come in una partita a poker. Eccolo allora il primo che spunta dal mazzo. È l'onorevole Angelo M. Predieri. Due legislature a destra, una a sinistra, sino all'ambitissimo ruolo di Sottosegretario alle Attività Produttive. Predieri ha fondato da alcuni anni l'Estremo Centro. È il centro del centro del centro. È il rifugio dell'ultimo notabilato. Si proclama oltre ogni destra, oltre ogni sinistra, pragmatico e innovativo. In realtà baratta i voti che racimola con una posizione di sottopotere. «Ha messo insieme una ciurmaglia raccogliticcia di trombati e trombandi di tutte le parrocchie, qualche rottame di destra e qualche vecchio attrezzo di sinistra, cacicchi locali e peones a caccia di un seggio che nessuno ormai vuole più regalare». È un banale progetto di brigantaggio politico. Tutti quelli che passano di lì devono pagare pedaggio al centro. La cosa incredibile è che i Predieri di turno resisterebbero perfino al «partito della nazione», che comunque è la sublimazione del trasformismo. Non c'è speranza. Lo slogan elettorale? «L'Estremo Centro. Moltiplica i tuoi valori».
Giovanni Negri i Predieri li conosce. È entrato in Parlamento a 27 anni. Li ha combattuti. Quando era il giovane segretario del Partito Radicale pensava a un mondo senza di loro. Niente. Poi ci ha provato come giornalista. Magari da fuori li colpisci meglio. Niente. Alla fine ha capito che l'unica cosa da fare è divergere da un'altra parte. Se ne è andato nelle terre di Cavour a produrre vino e a scrivere romanzi, storie, disincantati pamphlet.
Meglio berci su, tanto quelli come Predieri non li estirpi mai. Ma Giovanni conosce anche le altre carte del mazzo. Saverio Dioguardi, modesto magistrato, che arriva in Parlamento con una vocazione da «riserva della repubblica», la risorsa estrema alla quale ricorrere se il premier ha un ministero vacante, a causa di uno scandalo, o il Quirinale cerca una personalità super partes alla quale affidare un'authority ben remunerata. La carta di picche è Sua Eminenza Terenzio Magliano. In Italia c'è sempre un prelato che cerca di far quadrare le cose. E le mette a posto non per maggior gloria del Signore e tantomeno della democrazia, ma per la sua santa e ricca tranquillità. Non c'è nulla di più individualista di un prete che si occupa di politica.
E poi la donna di cuori, Lavinia Salvi. È una giornalista, una di quelle da lobby rosa, cinema, tv, giornali e onlus. Quando c'è da sostenere una causa vinta e di tendenza non fa mai mancare la sua firma, madrina di mille eventi cultural-mondani e di cento giurie.
Non sono bozzetti. Non sono maschere. Non sono caricature. Sono personaggi di cui senti l'odori, li conosci e non sai come evitarli, sono ovunque, sono in tanti e fanno maggioranza, ed è una maggioranza così vasta e distinta che contiene anche l'opposizione. Qui non si gioca per la poltrona del mondo.
Non c'è la stanza ovale. Qui si sopravvive. Il potere come resistenza umana, al costante livello di mediocirtà. House of Cards è una sinfonia fantasmagorica di cinismo. Il gioco delle carte è quello che state vivendo. Buona fortuna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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