Il concerto dei 12 violini scampati all'Olocausto

Ritrovati e restaurati da un liutaio, suoneranno insieme lunedì prossimo all'Auditorium del Parco della Musica

Il concerto dei 12 violini scampati all'Olocausto

Sono sopravvissuti a tutto. All'Olocausto, all'oblio, al disinteresse. A viaggi per terra e per mare. A polverose soffitte. Alla pioggia e alla neve. Nella loro vita hanno suonato per i prigionieri incamminati verso le camere a gas e per le feste dei carnefici nazisti.
Sono dodici violini e un violoncello, salvatisi dai campi di concentramento, ciascuno con una storia di atroce persecuzione e di speranza tenuta viva, nonostante l'orrore, dalla musica. Il 27 gennaio, in occasione del Giorno della memoria, si esibiranno insieme, per la prima volta in Italia, nella Sala Sinopoli dell'Auditorium del Parco della Musica, a Roma. Gli strumenti, ritrovati e restaurati dal liutaio Amnon Weinstein, saranno tra le mani dei componenti della JuniOrchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta dal maestro Yoel Levi, e di quattro solisti, quattro virtuosi in rappresentanza delle diverse religioni monoteistiche.
Ci sarà il violino di Drancy. Arriva dal campo di internamento di Drancy, vicino a Parigi. Una macchia indelebile nella storia di Francia. A Drancy furono tenuti prigionieri 65mila ebrei prima di essere inviati ai lager sui vagoni destinati al bestiame. Tornarono in duemila. Il violino accompagnò il suo proprietario nell'ultimo viaggio. Prima del confine, la locomotiva si fermò per un guasto. Il padrone, forse, volle risparmiare il suo strumento, e lo donò a un operaio della linea ferroviaria. L'operaio lo conservò ad Aix-en-Provence per tutta la vita, lasciandolo infine alla figlia. L'erede cercò di venderlo a un liutaio, che non era interessato all'affare. Il violino fu abbandonato nella bottega. Nessuno tornò a reclamarlo. Dopo dieci anni, un apprendista decise di restaurarlo, e venne a sapere la vera storia di quello strumento. Un giorno, una donna dal cognome ebraico, Boret, entrò nello studio per acquistare un violino. Il praticante le mostrò il violino di Drancy e le raccontò come ne era entrato in possesso. Due mesi più tardi, la signora Boret tornò dal giovane per acquistare il violino: aveva saputo che il liutaio Amnon Weinstein raccoglieva gli strumenti sfuggiti all'Olocausto. Offrì una bella somma. L'apprendista rifiutò il denaro, chiuse il violino nella custodia e lo regalò alla donna. Il padre della signora Boret, si venne poi a sapere, era riuscito a scappare da un treno della morte partito da Drancy. Come il violino.
Il violino di Krongold apparteneva a Shimon Krongold, un musicista dilettante. Il fratello di Shimon, Chaim, immigrò in Palestina nel 1923. Perse i contatti con Shimon, ma gli fu recapitata una foto che lo ritraeva mentre suonava il suo amato violino. Poi più nulla. Chaim venne a sapere che Shimon, per sfuggire ai nazisti, era fuggito. Da Varsavia alla Russia. Dalla Russia all'Uzbekistan. Qui era morto di tifo. Un giorno, uno sconosciuto bussò alla porta di Chaim. Aveva un violino in mano, e voleva venderglielo. «Era di Shimon», disse lo sconosciuto. Chaim non gli credeva. Ma sua moglie intervenne e pagò senza fiatare. Tutto quello che rimaneva di Shimon, a questo punto, era la sua foto col violino e, forse, il violino stesso. Anni dopo, all'interno della cassa, fu scoperta una scritta: «Ho fabbricato questo violino per celebrare il mio amico leale, Shimon Krongold, 1924». La dedica era firmata dal liutaio Yakoov Zimmermann. Il violino aveva viaggiato e viaggiato e viaggiato. Ma era riuscito a riunire la famiglia.
Il violino di Auschwitz ha avuto il compito peggiore: scimmiottare la vita in un luogo di morte. Le orchestre del lager suonavano all'arrivo dei nuovi trasporti, davano concerti per le SS, si esibivano durante gli eventi speciali. Suonavano anche per i prigionieri diretti alle camere a gas. È difficile capire cosa spingesse i nazisti ad allestire un simile teatrino. Era per tenere buoni i condannati a morte, confondendoli sulla reale natura di ciò che stava accadendo? Era un osceno tentativo di simulare la normalità? Era l'ultimo gesto di scherno verso uomini che non meritavano rispetto? I musicisti, in cambio della loro prestazione, a volte ottenevano regalini, come un tozzo di pane. Un piccolo privilegio che poteva fare la differenza tra la vita e la morte. Nel 1946, un sopravvissuto all'Olocausto, Abraham Davidovitz, ebbe in dono un violino da un compagno di prigionia. Il violino raggiunse Israele nel 1949 insieme con Davidovitz. Per 65 anni rimase chiuso in un armadio. Nessuno voleva suonarlo. Un giorno, i figli Freddy e Schmuel decisero che il violino doveva tornare a vivere. L'Olocausto aveva zittito la sua voce troppo a lungo. Non doveva finire però nella teca di un museo, doveva tornare a cantare. Lo portarono ad Amnon Weinstein, che restituì al violino la voglia di farsi sentire. A Roma, duetterà col violoncello di David Popper, figlio del Cantore del Ghetto di Praga, trucidato dai nazisti il 19 gennaio 1945.
Forse non saranno i migliori, ma i violini più preziosi sono i violini Klezmer perché non sapremo mai da chi furono suonati. La fattura e la stella di David indicano l'appartenenza a musicisti di strada, spesso invitati dal rabbino locale ad allietare matrimoni e feste. Sono strumenti semplici, sono la tradizione, la vita di tutti i giorni spazzata via dalla Soluzione finale.

Molti di essi furono suonati nei campi di sterminio, come testimoniato dai danni evidenti riportati nella parte superiore, segni dovuti alle intemperie. Amnon li ha riparati tutti. Tranne uno, rimasto nelle condizioni in cui fu ritrovato. Per lui, è il simbolo della distruzione della vita umana perpetrata dalla Shoah.

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