La Tragedia della nascita. Disumano, troppo Disumano. Tramonto. La Triste Scienza. Così ammutolì Zarathustra. Necrologia della morale. Al di sotto del bene e del male. Finis Homo. Gli idoli del crepuscolo. Le lamentazioni di Dioniso. La Volontà impotente.
Ho provato a rovesciare i titoli euforici delle opere di Friedrich Nietzsche e non per un gioco pirandelliano che fonda l'umorismo sul sentimento del contrario. Ho immaginato cosa potrebbe scrivere Nietzsche oggi. Un Nietzsche fedele alla promessa di Zarathustra, «tornerò di nuovo»; ma riapparso nell'epoca del nichilismo stanco in cui l'esaltazione cede il passo alla depressione, non scriverebbe sulla nascita della tragedia ma più cupamente sul dolore di venire al mondo. Non cercherebbe di andare oltre l'umano troppo umano, ma constaterebbe il trionfo del disumano. Non scriverebbe Aurora ma Tramonto, né la Gaia scienza ma la Mesta Scienza. Il suo Zarathustra non avrebbe più sermoneggiato ma sarebbe ammutolito perché la parola ha perso senso e valore. E non saluterebbe la nascita, anzi la genealogia, di una morale, ma ne studierebbe la necrologia. Non andrebbe poi al di là del bene e del male davanti allo spettacolo di una società caduta al di sotto del bene e del male. Non saluterebbe il sorgere dell'Oltre-uomo in Ecce Homo, piuttosto scriverebbe della fine dell'uomo. Non descriverebbe il grandioso crepuscolo degli idoli, piuttosto vedrebbe spuntare gli idoli e idoletti del crepuscolo. Non intonerebbe ditirambi entusiastici a Dioniso, ma geremiadi. E infine, non penserebbe di scrivere La Volontà di Potenza ma constaterebbe l'impotenza della volontà nell'eterno perdersi del mondo, più che nell'eterno ritorno.
Chi pensava che Nietzsche rappresentasse l'ultimo gradino del nichilismo nel pensiero occidentale, deve considerare ora la sua parabola ulteriore e discendente: dal nichilismo attivo nietzscheano al nichilismo passivo, dall'euforia pur tragica ed eroica di Zarathustra alla depressione cinica e dissolutiva del presente. Nietzsche reagì alla decadenza; un nuovo Nietzsche ne asseconderebbe il decorso. Alla fine, su Nietzsche ha vinto Leopardi, anzi un leopardismo pratico, impoetico. È la verità del nichilismo.
Oggi è il compleanno di Nietzsche, che infatti nacque il 15 ottobre del 1844. L'altro giorno, a Piuro, Emanuele Severino ha ricevuto il «Premio Nietzsche», e intorno al premiato e al titolare del premio si è imbastito un seminario con Sossio Giametta, decano dei nicciani, Massimo Donà, Giuseppe Girgenti, Andrea Tagliapietra, Armando Torno ed io. È il secondo seminario organizzato dal circolo culturale La Torre di Chiavenna, fra la Val Bregaglia e Sils-Maria, luogo elettivo di Nietzsche. Severino è forse oggi il filosofo italiano che ha tentato più di ogni altro di andare oltre Nietzsche, partendo dal cortocircuito del pensiero occidentale rispecchiato nel suo pensiero e nella sua vita. Ha cercato di capovolgere l'innocenza del divenire, caposaldo dell'eterno ritorno nietzscheano, nell'eternità dell'essere. E Sossio Giametta, gran traduttore di Nietzsche ha scritto, tra l'altro, un Commento allo Zarathustra (Bruno Mondadori, 2006) che sta all'opera di Nietzsche come il Commento di Miguel de Unamuno sta al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. Il paragone non è casuale. Zarathustra come Don Chisciotte affronta il mondo dopo la caduta del platonismo. Che nel suo caso è la caduta del cielo in terra e nel caso di don Chisciotte è la caduta del mondo ideale cavalleresco. Ma il primo si rifugia nell'avvenire e perso il cielo e gli dei, cerca di trovare sulla terra l'uomo superiore che erediterà la morte degli dei. Il secondo invece si rifugia nel passato e nelle sue allucinazioni, e persa la lucidità, cerca di abitare il suo sogno nella realtà, con i risultati tragici e grotteschi che conosciamo. La sorte dei loro autori è invece capovolta: Cervantes scarica le follie della vita sul suo personaggio, che impazzisce e muore. Nietzsche salva Zarathustra e lo lascia forte e ardente come il sole, ma carica su di sé la follia della sua profezia, e impazzisce.
Tramite Zarathustra, Nietzsche aveva pensato di fondare una nuova religione terrena segnata dall'apparizione del sovrumano. Visione epica ed eroica, euforica e giocosa del destino. Una religione danzante e ridente, contro la religione mortuaria e nereggiante, afflittiva e punitiva del cristianesimo. Qui c'è qualcosa di più della polemica anticristiana, c'è la biografia di Nietzsche: quanto ha pesato su quella luttuosa visione del cristianesimo il ricordo infantile di suo padre pastore luterano morente? I vestiti neri e il lutto familiare degli anni seguenti, la fede come orfanità e vedovanza, la fanciullezza rubata dal dolore. La morte di Dio è forse la trasfigurazione celeste della morte del Padre, il pastore? A quell'età i ricordi si conficcano come chiodi. Ai suoi occhi Dioniso è l'infanzia del mondo che scaccia e riscatta la memoria triste della sua infanzia. Come l'elogio della salute vigorosa è l'esorcismo e il rifugio dalla propria salute cagionevole.
Nietzsche torna a danzare ma la musica non è più la sua. Ora che la storia è stritolata nella tenaglia tra la tecnica e la natura, ovvero tra la potenza innescata dall'umano e la rivincita del primordiale o basic istinct, Zarathustra è reclamato a gran voce e ridiscende dai monti. Lo reclamano quanti vedono in lui il profeta della volontà di potenza e del superuomo dell'era tecnologica. E quanti trovano in lui il profeta della natura liberata ed esuberante. Ma la potenza della tecnica non è più controllata dall'artefice, che ne è anzi soggiogato, e procede per suo conto; e la natura, incattivita dalle devastazioni, si rivale sulla civiltà e segna il primato degli impulsi emotivi e degli istinti bestiali sull'equilibrio del saggio vivere secondo natura. Dunque non è l'avvento del sovrumano che profetizzava Nietzsche, ma il dominio dell'automatico e del subumano a occupare la scena e a tradire il canto di Zarathustra.
Pur consapevole che la strada di Nietzsche è senza sbocchi, torno sui suoi passi da una vita. Il primo articolo che pubblicai, a diciannove anni, fu dedicato a lui e al suo tempo venturo, che non venne mai, se non in versione rovesciata.
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