Il disagio della libertà. Perché agli italiani piace avere un padrone. Firmato Corrado Augias. L’intransigente, dopo La libertà dei servi, firmati da Maurizio Viroli. L’opera italiana da due soldi, contro il servilismo del regno berlusconiano, firmato dal giurista rococò Franco Cordero. Elogio del moralismo firmato da Stefano Rodotà contro illegalità e malaffare. E poi Magrelli e Perniola e Carofiglio e Zagrebelsky e la buonanima di Bocca, e caterve di libri di Chiarelettere e potrei continuare.
Mi aggiro tra i banconi e vedo tutti questi titoli frementi indignazione per il berlusconismo imperante. Mi sembra di aggirarmi tra le carcasse della Concordia e le sue scialuppe. Eppure non sono all’Isola del Giglio, ma in una libreria Feltrinelli. Sembrano ordigni inesplosi di una guerra finita, imprevedibilmente, mentre erano in corso i lanci e gli attacchi; munizioni lasciate incustodite ma ancora in bella mostra, di una guerra civile estinta, ignare dell’Armistizio sopraggiunto ormai da alcuni mesi e ignare dei nuovi dominatori al potere. Se la prendono ancora con il vecchio Tiranno e denunciano la perdita della libertà, esprimono il sussulto della loro dignità offesa, della loro indipendenza ferita, quando il Dittatore non c’è più e se n’è andato senza colpo ferire. E lorsignori, che benestanti erano e benestanti sono ancora, liberi di scrivere e di indignarsi erano in quel tempo e liberi di scrivere e di indignarsi sono adesso, non persero nemmeno una virgola della loro libertà ai tempi del Tiranno; semmai accrebbero le loro posizioni, la loro visibilità e le loro tirature, ma ugualmente si disponevano eroici davanti all’invisibile plotone d’esecuzione delle squadracce berlusconiane e offrivano i loro petti indomiti al fuoco nemico per dimostrare che loro non sono come gli italiani d’indole servile ma sono signori, e liberi, arditi e indignati.
Lasciamo da parte la loro illesa parabola professionale ai tempi del dittatore, veniamo al presente. Non trovate un po’ grottesca e decisamente anacronistica questa parata militare in tempo di pace e in assenza del nemico? Non trovate anzi ridicolo che oggi i nemici della servitù insieme ai presunti amici della servitù difendano e sostengano lo stesso governo? Non trovate curioso che due mondi così agli antipodi come quelli che venivano descritti in questi testi, confluiscano oggi a tenere in piedi lo stesso governo dei tecnici e magari a reggere quei partiti che stanno cercando un’intesa per varare leggi elettorali e non solo? Non starò qui a rimpiangere il bel tempo andato, quello degli insulti e degli odii, non ho nessuna nostalgia di quel clima schifoso di alcuni mesi fa, anzi sono felice che almeno quello sia finito. Non ho nemmeno da rimpiangere, nonostante quel che scrivono i saggi indignati, intransigenti e frementi, per qualche comodità goduta per servitù. Non persi nulla nel cambio di governo, perché nulla avevo guadagnato da quel potere e dal critico e libero consenso che esprimevo per quell’esperienza di governo. E dunque vivo con sollievo la fine di quell’epoca che infangava l’immagine senza giovare alla sostanza.
Mi pongo invece un altro problema di ordine non personale ma generale; che ne sarà di questa fremente cultura ora che i liberatori sono giunti al potere, con l’aiuto degli Alleati, e non c’è più il barbaro tiranno? Su che cosa si divideranno, su quali temi i sullodati intellettuali discrimineranno noi, gli Erranti, rispetto a loro, i Giusti? Insomma, più in generale: che ne è della cultura al tempo dei tecnici? Sarà solo un ramo periferico dell’economia, uno sviluppo marginale della finanza, ci saranno caste di intellettuali che svolgeranno come agenzie di rating il declassamento di coloro che non si adeguano ai parametri bocconiani e che acuiscono lo spread tra la cultura italiana e le culture egemoni del pianeta?
Non c’è una cultura che accompagna il governo dei tecnici, e questo non è un male, anzi; forse un male è l’ulteriore svalorizzazione della cultura in una società dominata dai valori di mercato. Il pensiero non si quota in Borsa.
Ma non è questo il punto. Fuor di ironia resta una curiosità all’orizzonte: cadranno finalmente le barriere tra la cultura antiberlusconiana e la cultura considerata collaborazionista o asservita al Padrone? Si parleranno finalmente e si riconosceranno reciprocamente, anche se in passato nutrivano un diverso giudizio sul berlusconismo? Ho l’impressione che i giornali, le pagine culturali, i circoli intellettuali siano ancora in armi e in trincea, mentre la guerra è finita da un pezzo. Si cerca di rianimare vecchi dissapori o di ricollegare, come fanno questi testi e altri affini (cito ad esempio La canottiera di Bossi, di Marco Belpoliti), il disciolto regime berlusconiano-bossiano al disciolto regime fascista, cercando così di imbastire un 25 aprile liberatorio e commemorativo per entrambi, elevati a categoria eterna, Ur-fascismo. Ma resta l’inadeguatezza di questa cultura indignata rispetto ai temi veri che riemergono nel presente: l’idea che la tecnica sia il nostro destino oppure no, che l’economia sia l’arte regina oppure no, che la comunità conti qualcosa o ci siano solo gli individui; che ci siano pensieri e principi che non passano dal mercato; quale modello di vita adottare, se la sobrietà può diventare anche visione del mondo e non solo criterio di spesa, e magari se rivalutare o meno una critica seria al capitalismo ultimo, finanziario e speculativo, nella prospettiva di una società della decrescita felice, o della crescita armoniosa con la natura e la cultura dei popoli, con le radici, con il senso religioso. Temi rispetto a cui il discrimine tra berlusconismo e antiberlusconismo non c’entra nulla, è solo irritazione cutanea per conflitti epidermici.
Uscirete finalmente dalle vostre trincee o continuerete a vivere il disagio della libertà perché era molto più comodo attribuire il male del mondo al tiranno e ai suoi servi? Sì, era così confortevole la tirannide, ora la libertà vi ha messi davvero a disagio...
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