Chi dice che la critica letteraria è morta non ha letto La guerra contro i cliché di Martin Amis (Einaudi, pagg. 226, euro 22). Magari interessa a pochissimi, sono lontani gli anni Sessanta durante i quali lo scrittore inglese ne parlava tutti i giorni con gli amici al pub, ma ciò non toglie che sia viva. Esistono numerose attività che si possono praticare nella penombra anziché sotto i riflettori e la critica è una di queste. Per fare critica letteraria viva è utile leggere molto («Ho letto Lolita otto o nove volte») e indispensabile scrivere molto bene, proprio come Amis, capace di interessare il lettore anche ad argomenti non così spontaneamente interessanti. La critica letteraria che funziona è quella che mette voglia di leggere alcuni autori e di posarne altri.
Grazie ad Amis mi è venuta voglia di leggere Philip Larkin che per me era appena un nome e adesso invece è un fantastico poeta inglese, simpaticissimo fors'anche perché antipaticissimo. Misogino, misantropo, misoneista, in vecchiaia addirittura thatcheriano, qualche anno dopo la morte (1985) cadde sotto i colpi dei guardiani del politicamente corretto che lo accusarono di razzismo, sessismo, parafascismo. Contro questi stupidi cliché Amis muove guerra per difendere la libertà di leggere un poeta talmente eccentrico, talmente indifferente al galateo letterario da definire i bambini «bestioline egoiste, rumorose, crudeli e volgari». Ecco uno dei versi più famosi di quest'uomo dal divertente malumore, quasi un Houellebecq prima di Houellebecq: «Togliti dai piedi prima che puoi/ e non avere bambini tuoi».
Viceversa, se fossi stato colpito dal morbo di Joyce il libro di Amis, antidoto contro la letteratura ricattatoria (o leggi tutto Finnegans Wake in edizione integrale e originale o sei un somaro degno dell' Incredibile Urka ), me l'avrebbe fatto passare. «Prolisso fino al fanatismo, innovativo e astruso», molte sue pagine «sembrano avere il solo scopo di mettere alla prova la pazienza del lettore». E dunque Amis pianta l' Ulisse a metà e descrive il suo autore come «il cocco dei professori». Joyce è buono solo per le tesi di laurea: si può immaginare una stroncatura peggiore?
Se alcuni scrittori sono bocciati o promossi in blocco, altri vengono giudicati libro per libro, se non pagina per pagina. «La maggior parte di quello che scrive Burroughs è spazzatura, spazzatura, per giunta, pigramente ossessiva. I pezzi buoni, però, sono buoni sul serio». E i pezzi buoni sarebbero, per chi fosse interessato a saperlo, quasi tutti inseriti in Pasto nudo . Perfino Roth, l'universalmente idolatrato Philip Roth, è a volte lodato e a volte biasimato: alcuni romanzi successivi a Lamento di Portnoy sono colpevoli di «umorismo molto fuori bersaglio», incapacità di sorprendere, scarsità di eventi. È proprio la formula rothiana a essere deplorata: «Abbiamo veramente bisogno di questo nuovo tipo di romanzo autobiografico? Stavamo bene anche senza, mi pare».
Di Naipaul meglio Un'area di tenebra rispetto a Una civiltà ferita: l'India . Il tema è il medesimo, la patria degli avi dello scrittore di Trinidad, ma l'esito diverso: «Per quanto sempre misurate ed eleganti, queste pagine non hanno niente di letterario; non se ne trae alcun genere di piacere». Per Amis, insofferente di sperimentalismi e accademismi, la letteratura è innanzitutto piacere intellettuale, rifiuto dei cliché ossia di stereotipi, frasi fatte, conformismi vari, e ricerca del loro opposto ossia «freschezza, energia e una voce che riverbera». È un metodo che si potrebbe applicare con profitto a qualsiasi forma d'arte: pittura, fotografia, cinema, musica... Anche se, metodo o non metodo, in Italia fare critica sembra più difficile che nel contesto angloamericano, dov'è possibile criticare senza sembrare invidiosi ed elogiare senza sembrare cortigiani. Alcuni degli scrittori affrontati da Amis erano amici di suo padre Kingsley, letterato di vaglia. Queste consuetudini non vengono occultate, non ce n'è bisogno anche perché i giudizi non appaiono falsati. L'esatto contrario di quanto accade da noi, dove appena parli bene di un libro si pensa subito alla marchetta. Chissà cosa c'è dietro: recensore e recensito saranno amanti? Parenti? Affiliati alla medesima loggia? È quasi impossibile far passare l'idea che a volte dietro una lode non c'è nulla: c'è un bel libro davanti.
Ricapitolando, per praticare una critica letteraria viva bisogna leggere molto, scrivere bene, essere inglesi o forse americani e possibilmente disporre di un fegato corazzato. Ci sono molti incontri nel libro e molti sono lubrificati dall'alcol, tanto alcol. Anthony Burgess, il romanziere di Arancia meccanica , mette al tappeto il povero Amis che pure non è certo un astemio: «Abbiamo cominciato con i gin tonic (due ciascuno), per poi passare a una quantità pazzesca di vino rosso di non eccelsa qualità.
Io ho cercato di fare del mio meglio per tenere il passo di Burgess, che, alle cinque, aveva preso a bere un brandy doppio dopo l'altro come se si trattasse di una gara: tre sorsate, sollevava il bicchiere e ne ordinava un altro. Alle sei ha chiesto un gin tonic. Che ha posto fine alla seduta. I postumi di quella sbornia sono stati per me di proporzioni terrificanti e sono durati per mezza settimana».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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