«T u che lasciasti una mitologia/ di ghiaccio e fuoco». Efficace esordio di una poesia che Jorge Luis Borges dedica a Snorri Sturluson (1179-1241), l'autore dell'Edda in prosa. La poesia si trova in una delle raccolte di versi più celebri di Borges, L'altro, lo stesso (1964), e fin qui niente di particolare: sappiamo che Borges ama fare il trapezista nei miti universali, una volta è all'ombra di un gonnellone sufi, l'altra nei pressi di un tempio shinto, l'altra ancora lo vediamo in una libreria antiquaria di Buenos Aires a cercare il libro «il cui numero di pagine è infinito». Una storia così Borges l'ha raccontata ne Il libro di sabbia, in cui un tizio sente bussare alla porta di casa sua, si tratta di «uno sconosciuto, un uomo alto, dai tratti confusi», che fa «il venditore di bibbie», ha il ceffo «scandinavo» e viene dalle Orcadi. Nella raccolta di testi che piglia il titolo da questo racconto, del 1975, ci sono diversi brani (Undr, Il disco, Ulrica) che hanno come sottotesto l'ancestrale letteratura nordica. Tuttavia la storia di Snorri, Borges la scrive nel 1966: «A partire dal 1224 fu l'uomo più ricco d'Islanda. Il più ricco, il più avido, ma anche il più avaro e non il più valoroso. La sua grandezza sta nella sua opera scritta».
Nello stesso anno in cui esce L'altro, lo stesso, Maria Esther Vàzquez pubblica I nomi della morte: a lei Borges dedica uno dei suoi Prologhi. Perché? Perché Maria Esther «ha percepito il centrale enigma della morte». Per festeggiare, insieme, in quello stesso 1964, Borges e Maria Esther partono per l'Europa. Il viaggio è una catabasi nel Nord, tra bardi, skaldi, druidi e navi dallo scafo rabbioso. L'esito sono due libri, pubblicati consecutivamente: una Introducciòn a la literatura inglesa (1965) e la Literaturas germànicas medievales (1966). Dopo il viaggio in Europa, Maria Esther si sposa con il poeta Horacio Armani, amico di Borges. Ora il tomo sulle Letterature germaniche medioevali torna in catalogo Adelphi, a cura di Antonio Melis (un'edizione di implacabile bellezza fu pubblicata nel 1973 da Franco Maria Ricci, introdotta da Giovanni Mariotti e intitolata Brume, Dei, Eroi). Il tomo è una piastra di intonaco nella basilica letteraria di Borges: la cosa imperdibile sono gli scatti di visione del genio argentino, che nelle saghe vede «prefigurato il romanzo moderno», che in Federico II, che mal sopportava il Canto dei Nibelunghi, scorge un «discepolo di Voltaire», che nelle Gesta Danorum di Saxo Grammatico rintraccia la profezia dell'«enigmatico e laconico stile di alcune risposte di Amleto». L'ansia compilativa di Borges non dimentica nulla, da Beowulf a Cynewulf, da Beda il Venerabile al Libro degli Eroi.
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