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La destra si (ri)scopre partito della nazione. Speriamo non sia tardi

Gianni Alemanno pubblica un pamphlet "ideologico": fa autocritica e guarda al futuro. Ma quanti rimpianti

La destra si (ri)scopre partito della nazione. Speriamo non sia tardi

Ma è possibile oggi un partito della nazione? Partito e Nazione sono oggi due espressioni sconvenienti, fuori corso. Al termine del suo mandato di sindaco di Roma, Gianni Alemanno riparte dall'ideologia e pubblica un veloce testo politico intitolato appunto Il partito della nazione (I libri del Borghese, pagg.121, euro 15) in cui ripropone, per così dire, la destra potenziale. Che è un po' come le rose di Gozzano, ossia «le rose che non colsi». Alemanno capovolge le occasioni perdute in propositi venturi. Non entro nel merito della sua opera di sindaco, su cui già scrissi sul Giornale, suscitando il suo risentimento. Mi soffermo invece sul suo manifesto ideologico che fa la storia della destra politica e sociale. Dunque in principio fu il Msi, partito fiero e sterile, di pura testimonianza, con una sua coriacea militanza. Poi alla caduta della prima repubblica, sotto l'impulso di straordinari successi elettorali con la fiamma, nacque Alleanza Nazionale. Nascita necessaria anche se concepita in modo sbrigativo. Quindi il precoce impegno governativo per un partito nato e cresciuto all'opposizione, versato nei comizi più che nella gestione di governo. E nell'arco di 16 anni, ben tre esperienze di governo di cui una record di 5 anni. Ma il bilancio politico della presenza della destra nei governi è stato molto scarso, la destra non si è fatta notare. Non è rimasto un segno che dica: di qui è passata la destra. Per queste ragioni l'idea di sciogliersi nel Pdl, come chiedeva Berlusconi, era diventata a quel punto inevitabile. An era ormai il clone sbiadito di Forza Italia, incapace di una linea sua e d'imprimere un segno. La coabitazione nel Pdl finì male, come è noto.

A prescindere dagli errori commessi da ambo le parti e dalla slealtà di Fini, il suo errore principale fu quello di volersi disfare al contempo della destra -le sue idee, i suoi temi e i suoi ranghi - e di Berlusconi e della sua egemonia, per sedici anni supinamente accettata. Non accorgendosi che la prima era il suo punto di forza e il secondo, volente o nolente, l'aveva trainato al governo. La fine del leader produsse la dispersione della destra. All'indomani della caduta del governo Berlusconi, ritenendo ormai conclusa quell'esperienza, lanciai con un gruppo di amici, un appello ai politici per ricomporre la destra e rilanciarla con nuovi dirigenti. Seguirono un paio di convegni. Il progetto Itaca piacque a molta gente di destra ma fu praticamente ignorato dai leader superstiti di An, con qualche eccezione. Avevano paura di volare e di perdere le posizioni residue. Alemanno attaccò il progetto e per un periodo cadde nell'illusione ottica di seguire Monti, lui leader della destra sociale. Presto si riebbe e dopo un breve peregrinare, è approdato ora a Fratelli d'Italia. Un anno fa, dopo un convegno su Almirante, Massimo Magliaro, per anni portavoce del leader missino si fece interprete delle sparse destre e mi chiese di scrivere un manifesto che fosse il punto di raccolta delle medesime. Lo feci, ma anche allora non si misero d'accordo, c'era chi voleva scrivere che la destra si riconosceva nei popolari europei, salvo poi inseguire Le Pen... Il manifesto abortì. Poi trovai la mia firma, con una decina di intellettuali e alcune modifiche, a un inutile appello che non doveva essere sottoscritto da intellettuali ma doveva servire come piattaforma di accordo dei politici, scritto da garanti al di sopra delle parti. Ora ritrovo nel libro di Alemanno quel manifesto in apertura ai documenti che hanno portato a Fratelli d'Italia, come una sorta di atto d'origine. Sempre in ritardo sui tempi, la destra, troppe paure... Oggi è possibile un Partito della Nazione? È difficile, a partire dal consenso. La Meloni è brava e battagliera ma non basta. Con disperato ottimismo possiamo solo dire: meglio una piccola cosa che il nulla. Allo stato attuale, la destra può chiedere solo un voto di pura testimonianza, come era quello al Msi (ma su piani diversi), di adesione a una familiarità di linguaggio, di retaggio, di idee che non troveranno attuazione politica. L'eredità di An è finita nel nulla e nulla ha lasciato. Non resta loro che chiedere un voto “inutile” ma di testimonianza, sostenendo che l'alternativa non sia il voto utile ma quello dannoso.

Partito di testimonianza non vuol dire però con una forte ispirazione culturale. Su quel piano la destra è sempre stata latitante e i momenti di vitalità culturale a destra non sono mai stati interni ai partiti, dal Msi in poi, ma sempre fuori, se non contro. Una storia vecchia, dunque. Oggi la destra dispone di un forziere con un buon patrimonio, la fondazione An, ma non intende spenderlo per la formazione politica e culturale. Si considera una specie di immobiliare, una polizza per il futuro da non toccare. Forse non si rendono conto che la destra rischia di sparire e quel patrimonio di restare paralizzato nei veti incrociati. Le sole possibilità di salvezza per la destra sono affidate a volti nuovi e alla capacità di rischiare, di giocarsi tutto, di investire sul futuro. Come è finora accaduto dovranno prima urtare con la dura realtà e poi magari converranno. Sperando che allora non sarà troppo tardi. Alemanno parte nel suo libro da un'onesta autocritica, solleva argomenti condivisibili e cerca di pensare la politica dopo averla fatta. Sarebbe stato meglio pensarla durante, mentre si faceva politica, gli dico con tutta l'amicizia antica che ho per lui. Ma si tratta ormai di acqua passata. Non penso però che i temi centrali della destra siano destinati a sparire, anzi. Potranno, o dovranno, tramontare nomi, sigle, personaggi legati alle esperienze passate, ma alcuni temi sono destinati a riemergere. Ne cito due. Ci sarà sempre bisogno di un movimento, un polo che rappresenti la tradizione, la continuità con la storia e la civiltà, un principio attivo conservatore. E col tempo crescerà il bisogno di fronteggiare le tre grandi insidie del presente: dall'alto lo strapotere degli assetti oligarchici e finanziari, dal basso le ondate bibliche di immigrati e dal fianco l'invasione commerciale (e non solo) cinese e asiatica. Sarà inevitabile il sorgere di vasti movimenti popolari e populisti che si renderanno interpreti del triplice assedio, ma c'è il rischio che accanto a istanze sacrosante, rappresentino anche torbide paure e oscuri risentimenti. D'altronde, lo dice anche Hobbes, la politica sorge per organizzare risposte alla paura. La speranza è che non finisca nelle mani di rozzi e spregiudicati impresari della paura.


Nell'attesa, al Partito della Nazione non resta che sognare l'Ungheria.

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