Donna Tartt sulle ali del destino

Donna Tartt sulle ali del destino

Theo Decker ha 13 anni quando rimane orfano. Succede un giorno che, per questioni disciplinari, sua madre Audrey viene convocata dal preside, e lui con lei. L'appuntamento è per la tarda mattinata, e Audrey e Theo decidono di fare prima una scappata al Museo centrale. Per la verità è lei a deciderlo, Theo vorrebbe solo una bella prima colazione in qualche tavola calda, ma si sente in colpa per via della scuola, pensa che quella visita diminuirà il nervosismo materno, palpabile e giustificato: il marito, padre di Teo, l'ha mollata da un giorno all'altro, ci sono problemi economici, lei si fa in quattro e non chiede al figlio che studiare e essere educato. È delusa, e ha ragione, pensa il ragazzo.
Theo stravede per la madre. È bella, elegante, simpatica, emana una luce particolare, sa farsi volere bene. Il padre era completamente diverso: un attore fallito, riciclatosi in venditore collerico e con la tendenza all'alcol, non cattivo, ma rissoso. Theo vorrebbe assomigliare alla madre: se si guarda allo specchio, vede però come doveva essere il padre da piccolo.
Al Museo, Audrey cerca un quadro in particolare, Il cardellino, un olio di Fabritius, pittore seicentesco olandese: l'allievo prediletto di Rembrandt, l'anticipatore di Vermeer. È un dipinto piccolo, ma dice molto: racconta la solitudine e insieme la dipendenza. Legato a una catenella, come un cane alla catena, quell'uccellino possiede la malinconica fierezza di chi non si rassegna. È uno dei pochi dipinti rimasti dell'autore e l'ultimo da lui fatto. Nel 1654, lo scoppio di un deposito di armi a Delft distrusse anche la sua vita, la sua abitazione, e tutto ciò che della sua opera era in casa. Solo un pugno di tele rimangono a testimoniarne la grandezza.
A vedere Il cardellino c'è fra gli sparsi visitatori una strana coppia: una ragazzina più o meno sua coetanea, un anziano signore, elegantemente vestito, ma quasi gobbo, come se pendesse su un lato del corpo. Theo è attratto dai capelli rossi della bambina, un colorato squillo di tromba, e dall'evidente complicità che li lega. È un po' la stessa che lo unisce a sua madre e spera che dopo, quando lei avrà parlato con il preside e scoperto il suo teppismo infantile di cui ora prova vergogna, il legame non si rompa e tutto possa tornare come è sempre stato.
Proprio perché attratto da quella coppia, Theo si attarda nella sala, mentre la madre fa una deviazione verso un'altra più lontana, dove c'è la Lezione di anatomia di Rembrandt che vuole rivedere. Così, quando la bomba scoppia dentro il museo, un attentato, uno dei tanti dopo l'11 settembre, il terrorismo cieco come arma politica, madre e figlio sono separati. Lui sopravvive, lei no. E quella morte segna la vita del sopravvissuto.
La segna non tanto e non solo perché adesso non ha più nessuno, affidato prima a degli amici di famiglia, poi, quando il padre si rifà a vivo, a quest'ultimo, presenza-assenza non amata, e a una nuova città, e poi ancora nuovi lutti e nuove separazioni... La segna perché di quella morte Theo si sente responsabile. Se non fosse stato per il suo disordine scolastico, quel giorno Audrey non avrebbe dovuto accompagnarlo a scuola, non ci sarebbe stata la deviazione per il museo, non sarebbero stati lì quando... L'ha uccisa la sua criminalità di bambino viziato.
Ma oltre la morte della madre pesa su Theo un altro macigno. Quel giorno, fra il sangue e i corpi sparsi della sala, si è ritrovato a fianco di quel gentile signore. La ragazzina dai capelli rossi no, non l'ha vista, si era anche lei allontanata, ma il vecchio era steso vicino a lui, stava morendo e, a fatica, gli ha fatto segno di portare via da quello scenario apocalittico Il cardellino, rimasto miracolosamente incolume, un pezzo di legno ricoperto di calcinacci, a malapena visibile fra i detriti... Theo l'ha fatto. L'ha salvato e insieme l'ha rubato. Dovrebbe riconsegnarlo, ma ha 13 anni, è sconvolto, non sa bene come fare. E se lo mettono in galera? In realtà, ciò che veramente lo trattiene è qualcosa d'altro: quell'immagine fiera e dolente è l'unica cosa che gli ricordi sua madre com'era, il loro ultimo momento insieme, quando erano entrambi vivi e felici, nonostante tutto e tutti. Adesso sono entrambi morti, e quell'uccellino è la sola cosa che per lui abbia ancora un senso.
Il cardellino (Rizzoli, pagg. 892, euro 20, traduzione di Mirko Zilahi de' Gyurgyokai) è il nuovo romanzo di Donna Tartt, il terzo dopo Dio di illusioni e Il piccolo amico. Della cosiddetta generazione minimalista, Tartt è la scrittrice più interessante, totalmente sganciata dalla rappresentazione dell'American Way of Life degli anni Ottanta, yuppismo e dintorni, che consacrò e insieme distrusse i suoi autori. Il suo è stato fin dall'inizio un percorso completamente diverso, in cui il romanzo d'impianto tradizionale veniva contaminato dal new journalism alla Capote e alla Wolfe e insieme innervato da una sorta di approccio metafisico ai grandi temi della colpa e dell'innocenza, della bellezza e della sua pericolosa presenza.
Per Il cardellino, la critica ha fatto riferimento a Dickens, l'epopea dickensiana delle grandi speranze e delle tragedie dell'adolescenza, l'occhio vergine con cui quest'ultima registra il non senso del mondo. Se però dovessimo fare un nome come chiave del libro, sarebbe L'idiota di Dostoevskij, sia pure rovesciato. La bontà del principe Myskin non porta altro che dolore: c'è chi si ammazza, chi si vende, chi tradisce. Per fare il bene non scatena altro che il male dell'umanità. Theo è il suo opposto: la sua corsa ad annullarsi produce una catarsi, il modo sbagliato può essere quello giusto, è la perdita di qualcuno che permette il ritrovarsi di altri.
Il libro della Tartt è una magistrale prova d'autore in cui c'è tutto. La ricostruzione perfetta delle psicologie adolescenziali, il loro linguaggio, i loro gusti, l'analisi della società alta newyorkese, ma anche il melting pot, specie quello russo americano, di una immigrazione professionalmente alta (tecnici petroliferi, geologi ect) eppure pericolosa per lo sradicamento che si porta dietro a livello familiare: vite da nomadi, identità infelici. E ancora: l'ambiente falsamente dorato dell'antiquariato di una nazione che non ha mai conosciuto l'antichità, le case d'aste e i nuovi ricchi, le tecniche con cui si falsificano mobili, dipinti, arazzi, il sottobosco di venditori e compratori...
Tutto nel Cardellino ruota intorno al tema del destino, che è crudele, ma forse non casuale. La Natura, intesa come Morte, vince sempre, ma questo non significa «prostrarci al suo cospetto.

E nel pieno del nostro morire, mentre ci eleviamo al di sopra dell'organico solo per tornare vergognosamente a sprofondarvi, è come un onore e un privilegio amare ciò che la morte non tocca. Nella misura in cui il quadro è immortale (e lo è) io ho una minuscola, luminosa, inimitabile parte di quell'immortalità». Perché in fondo siamo noi che salviamo la bellezza.

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