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Duras mon amour Quando la scrittura è una confessione

Il comunismo abbracciato ma ben presto lasciato, le passioni sbagliate, le suggestioni orientali. Un monologo-intervista sul filo del ricordo

Duras mon amour Quando la scrittura è una confessione

Quando si tratta di scrittori che sono veri scrittori, cioè donne e uomini che attraverso il linguaggio e lo stile esprimono una loro individuale visione del mondo, libri come questo di Marguerite Duras, I miei luoghi. Conversazioni con Michelle Porte (edizioni Clichy, pagg. 114, euro 12) non soltanto hanno un senso, ma possono anche offrire ai lettori qualche momento prezioso di riflessione e di piacere. Non è un libro-intervista: siamo piuttosto di fronte a domande sottili, che lasciano spazio a riposte divaganti, sul filo della memoria e dell'autobiografia, ma anche piene di osservazioni teoriche a metà tra cinema e letteratura.

Marguerite Duras ebbe una vita non banale. Nata in Indocina, allora francese, nel 1914, è stata dopo il rientro a Parigi militante della resistenza antinazista, comunista e poi subito dissidente, regista cinematografica, sceneggiatrice, romanziera, con diverse stagioni, una più tradizionale, una più sperimentale (legata al clima del nouveau roman, la scuola di cui furono capifila Robbe-Grillet e Butor). Infine raggiunse il successo popolare e internazionale con un libro come L'amante (1984), in cui raccontò con effetti di dura estraniazione la storia del suo rapporto di carattere eminentemente, disperatamente sessuale, quando era soltanto quindicenne, con un cinese miliardario che aveva il doppio dei suoi anni. Esotismo ed erotismo furono le ragioni della presa del libro sul grande pubblico. Ma bisogna dire che Marguerite Duras aveva a lungo covato, tessuto dentro di sé la necessità di quelle pagine.

Conversando con Michelle Porte ci parla dei luoghi della sua vita a partire da una grande casa di campagna, con stanze dal soffitto così alto che agli angoli delle travi sono ancora visibili nidi di rondine, contigua a prati dove si può raccogliere la lavanda e al bosco. Da lì, riflette sul rapporto che una donna ha con ciò che la circonda e con il perimetro di una casa. «Solo le donne abitano i luoghi», scrive, non gli uomini. Gli uomini sono malati di parole. Non sanno ascoltare la solitudine e il silenzio. Ed è per questo che solo le donne sanno intrufolarsi nel bosco per parlare con gli esseri che non hanno voce, alberi, animali, a rischio di essere fatte passare per streghe. Rischio reale sino al XVII secolo. Gli uomini vanno nel bosco per cacciare, per conquistare, mettere ordine. Non capiscono lo sguardo estatico che una donna ha sul bosco, ma anche sulla propria dimora. Perché la donna è in sé una dimora. E lo sa bene il piccolo essere che nasce, che la abbandona urlando di dolore.

Poi leggiamo pagine autobiografiche (tutto il volume è corredato da fotografie) sull'infanzia dell'autrice presso le rive del Mekong. A dodici anni con il fratello andava in giro nella foresta mangiandone i frutti, camminava a piedi nudi sui sentieri, nuotava nei torrenti, cacciava i coccodrilli. Poi la madre, insegnante, vedova, coinvolta nell'acquisto di una proprietà rivelatasi rovinosa, allagata periodicamente dall'oceano, le inculca la coscienza di essere francese, di far parte della cultura europea. Una cultura dove la foresta diventa follia e paura, come più tardi la musica, una paura irrazionale da cui l'autrice confessa di essere costantemente turbata. Ci racconta così la genesi di un altro suo romanzo, La diga sul Pacifico, che insieme a Moderato cantabile è tra quelli più noti. Questo libro è anche molto ricco di citazioni da film dell'autrice, da Nathalie Granger a India Song a La donna del Gange, di cui fu regista, mentre fu sceneggiatrice del celebre Hiroshima mon amour di Alain Resnais.

Inutile cercarvi riferimenti alla vita amorosa dell'autrice. C'è però tra le altre una foto di lei a diciotto anni, nel 1832, l'anno in cui lasciò l'Indocina per la Francia. Sembra una bambina, per la dolcezza dei lineamenti.

Ma quegli occhi sottolineati da una strana malinconia, quella bocca piccola dal labbro inferiore ambiguamente in fuori ci fanno capire che, in un tempo e in un luogo appena lasciati, ha conosciuto l'esperienza dei sensi che ci vorrà L'amante per rivelare.

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