Ecco come (non) ricordare il «Peppo» Pontiggia

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Coltissimo, pacatamente carismatico, Giuseppe Pontiggia (Como, 1934 - Milano, 2003) è il nume della letteratura italica degli ultimi decenni. La sua cultura, poliedrica, ha forgiato il catalogo della casa editrice più sciccosa d'Italia, l'Adelphi, ma ha pure fertilizzato il paddock autori Mondadori. Mago invisibile delle lettere, i suoi romanzi (ad esempio, Vite di uomini non illustri e Nati due volte) hanno fatto il pieno di premi, di ogni genere e sorta (Chiara, Strega, Campiello) e sono stati elegantemente trasferiti sul grande schermo (Le chiavi di casa di Amelio e Facciamo il paradiso di Monicelli).
Morto dieci anni fa, ha rotto qualche cristalleria borghese lombarda il ricordo che di Giuseppe ha fatto il fratello, Giampiero Neri (notate lo pseudonimo per fuggire la cupa ombra fraterna), poeta mondadoriano, nell'intervista elegiaca, Un maestro in ombra (Jaca Book), confezionata da Alessandro Rivali, in cui Caino infierisce sul fratello morto e sepolto con frasi non tenere. Riaggiusta il rapporto con il defunto, invece, la pubblicazione commemorativa Con Giuseppe Pontiggia. Le voci della Notte Bianca, edita da Guido Conti Editore, che è poi una falange di GuaraldiLab (pagg. 140, euro 12). Il libretto è lo spartito della giornata di memoria che si è fatta a Milano, alla Libreria Popolare di via Tadino, il 21 giugno scorso. Ovvio, dunque, che i partecipanti indugino nella pozza retorica: terribile la poesia di Maurizio Cucchi (mai dedicare versi a chi non c'è più e potrebbe rivoltarsi nella tomba), A Peppo, «amabile e sapiente», «un esempio impeccabile che manca/ in questo mare d'enfasi e immondizia» (ma davvero Cucchi decreta chi deve pubblicare nello «Specchio» Mondadori? Oddio...

); burocratico il discorsetto di Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera («Pontiggia è stato un grande scrittore ma anche un grande amico», figuriamoci); Ernesto Ferrero (direttore del Salone del Libro di Torino) definisce il Pontiggia «un Montaigne lombardo, bonario» (e ci azzecca), Antonio Franchini, colonnello in Mondadori, procede per epigrafi e apoftegmi («gli scrittori importanti possono essere difficili, ma uno scrittore molto importante è facile, chiaro»). Si ha l'idea di un clan di letterati: chi c'è, c'è, chi non c'è non ci sarà mai, affari vostri. Infine, il tomo è un fin troppo facile gioco di sfottò e di vigliaccherie. A volte ci vuole.

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