Cultura e Spettacoli

Al supermercato del bio si fa la spesa solo di bufale

Un libro svela tutti i luoghi comuni fasulli sul salutismo a tavola. E come i trucchi del marketing nascondano verità incoffessabili

Al supermercato del bio si fa la spesa solo di bufale

Visti i prezzi si potrebbe adattare a tutta la filosofia «bio» la famosa citazione di Leo Longanesi: «Il comunismo? Roba da ricchi». Ma ben oltre l'etichetta sugli scaffali, il fatto è che spesso l'ideologia del biologico, e soprattutto del prodotto dop o igp da grande distribuzione, è soltanto mitologia. Per esempio, l'idea che i grissini al kamut siano un prodotto oltre che costoso anche «nobile», è sballata; il fatto che le patate al selenio rendano più intelligenti è una bufala. E proposito del simpatico ovino, spesso la mozzarella di bufala che troviamo al supermercato e sulla pizza contiene percentuali variabili di latte di vacca.
Lo racconta Le bugie nel carrello, un libro di Dario Bressanini in libreria oggi (edito da Chiarelettere).

L'autore, chimico, docente universitario e foodblogger, già nel 2009 aveva chiarito il rapporto costi-benefici della genetica applicata alla coltivazione con «Ogm, tra leggenda e realtà»; poi si era dedicato a smascherare i luoghi comuni dei produttori alimentari con «Pane e bugie».
Il discorso continua con l'ultimo libro: racconto in prima persona, supportato da una documentazione scientifica seria, di una visita virtuale in quella sorta di museo della produzione, della tecnologia (e della disinvoltura promozionale mascherata da correttezza alimentare) che è il supermercato.

Un esempio? Il pomodoro Pachino, prodotto Igp dal 2003, non è affatto di Pachino, in Sicilia. Si tratta di due rispettabili varietà ibride introdotte nel 1989 dalla HazeraGenetics, azienda sementiera israeliana: il ciliegino Naomi e il Rita a grappolo, che, tra gli altri meriti, hanno quello di rimanere inalterati per due o tre settimane dopo la raccolta. Certo si tratta di normali ibridi F1, non di Ogm come qualcuno ha denunciato, ma il caso è comunque indicativo del fatto che una supposta tradizione è stata inventata, e da poco.
Del resto, racconta Bressanini, anche la dicitura «Pasta di grano duro Senatore Cappelli» che troviamo su confezioni esclusive di penne spaghetti e paccheri non si riferisce a una qualche antica varietà, ma al frutto del lavoro di un genetista della prima metà del 900: Nazareno Strampelli, che per i suoi incroci venne «sponsorizzato» dal mitologico senatore Cappelli. Tra l'altro Strampelli fu l'inventore del grano Ardito, cioè del cultivar che permise al fascismo di vincere la cosiddetta «battaglia del grano» e riuscì «ad aumentare la produzione italiana di frumento dai 44 milioni di quintali del 1922 agli 80 milioni del 1933, quasi senza ampliare la superficie coltivata». Mentre per molta della pasta oggi prodotta la varietà utilizzata è la Creso, frutto di un esperimento di esposizione alle radiazioni nucleari.

Insomma, molto spesso, per quanto riguarda la produzione di cibo, i richiami alla natura sono solo furbe mistificazioni: «Il fatto che un alimento sia o non sia “naturale" non ha niente a che vedere con le sue proprietà salutistiche. Smettiamo di brandire questo termine come una clava per chiudere i discorsi», scrive Bressanini.
Discorso simile per le uova: tra quelle di tipo 3, che provengono da allevamenti in gabbie tristemente piccole (meno di un foglio A4 la superficie che ogni gallina ha a sua disposizione) e quelle tipo 0 (4 metri quadri a volatile, mangime bio), le differenze nutrizionali sono minime, e comunque «non giustificano il prezzo più alto che i consumatori pagano per le produzioni alternative, che nel 2008 costavano dal 39 al 95 per cento in più rispetto alle uova "normali"». Fatta salva l'empatia per i pennuti convengono le uova comuni, insomma.

Ma la sorpresa divertente arriva dalle ricerche sul vino. Scrisse Eschilo: «Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente». E Bressanini conferma: dalle ricerche risulta che il gradimento è influenzato dalla consapevolezza del prezzo: «Il vino più costoso è effettivamente più è buono: il cervello risponde segnalando una sensazione di piacere maggiore».

Un consiglio allora: «La prossima volta che avrete ospiti a cena, accennate al fatto che il vino che si apprestano a bere è molto costoso (anche se lo avete comprato a 5 euro al supermercato): lo apprezzeranno davvero di più!».

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