Arte

"Entrare nell'orizzonte immenso": la lezione degli artisti durante il Covid-19

"La nota dopo la pausa": pensieri per una ripartenza della musica dal vivo

Foto di Ayumi Otake
Foto di Ayumi Otake

Tempi duri per tutti. Per i ristoratori, per i gestori di palestre, per medici e infermieri in prima linea contro il Covid-19. Potremmo riempire questa pagina citando tutte le categorie in difficoltà perché i dati sull'occupazione - anzi, sulla disoccupazione - sono tremendi. C'è però una categoria che è stata troppo a lungo dimenticata: quella degli artisti. Per questo motivo, abbiamo deciso di intervistare Eugenio Della Chiara, chitarrista e docente nei conservatori.

Da quando c'è il lockdown, com'è la tua giornata tipo?

Intendiamoci: non è che quando mi sveglio, la mattina, resto fermo a guardare il soffitto perché non so cosa fare. Porto mio figlio al nido, lavoro su alcune registrazioni fatte negli scorsi mesi, tengo lezioni a distanza in conservatorio e studio. Perché alla fine il core business - per usare un’espressione che va tanto di moda - è quello: sia per la necessità di mantenere una pratica costante sullo strumento sia per un fatto di equilibrio personale. Un musicista che non riesce a studiare soffre, è inutile girarci intorno.

Ma questo tipo di lavoro, basato solamente sul virtuale, non rischia di danneggiarvi?

Suonare in live streaming è una possibilità, certo, ma è qualcosa di molto distante dall’esperienza del vero concerto, sia per il pubblico che per l’interprete. Capisco che questo mezzo possa sembrare invitante per chi vede la musica dal vivo come un “problema da risolvere”, magari distillandola in pochi grandi eventi promossi da altrettanto pochi grandi soggetti. L’Italia però è piena di piccole associazioni musicali molto radicate nei territori, spesso gestite da giovani musicisti che lavorano duramente per intercettare nuovo pubblico: penalizzando queste realtà si rischia di vanificare un’enorme opera di diffusione culturale. Bisognerebbe poi capire cosa si intende per “realizzazione di eventi in live streaming”: la semplice messa in onda di un concerto dal vivo finirebbe per creare un prodotto come tanti altri, privo di una propria specificità e non differente da ciò si trova da decenni, gratuitamente, su YouTube.

Quindi lo streaming non potrà mai prendere il posto del live?

Ho accennato a come il live streaming sia un’esperienza molto distante da quella del concerto dal vivo con il pubblico in sala. Dal lato dell’interprete, può venir meno la carica emotiva che solo la presenza di persone in carne ed ossa garantisce: con ogni pubblico si instaura un rapporto diverso, ogni pubblico è unico e contribuisce alla riuscita del concerto molto più di quanto si possa credere, anche restando semplicemente in silenzio. La musica, come ogni forma d’arte, è legata alle categorie dello spazio e del tempo: lo streaming elimina essenzialmente la categoria dello spazio, rendendolo immateriale. Provo a fare un esempio concreto: una stampa della Gioconda contiene perlopiù le stesse informazioni presenti nell’originale, ma non “è” la Gioconda e soprattutto non è assolutamente in grado di offrire la stessa esperienza estetica dell’opera vista dal vero. Gli eventi musicali in live streaming sono un po’ come una riproduzione della Gioconda: la chiave di tutto sta nella parola “esperienza”. Nessuno direbbe di “aver visto” la Gioconda per il semplice fatto di essersi imbattuto nella sua immagine in un libro d’arte, al massimo potrebbe dire di “conoscerla”, di sapere cos’è. L’aver visto implica, in ambito estetico, un’esperienza diretta che è possibile fare solo in carne ed ossa. Ho fatto l’esempio della Gioconda, ma potrei citare le opere di altri pittori - penso a El Greco - che sono praticamente irriproducibili e vanno per forza incontrate dal vivo. Allo stesso modo, anche il suono ha una sua componente di ineffabilità, che non potrà mai essere veicolata nemmeno dai mezzi più tecnologicamente avanzati.

Perché il concerto dal vivo è un’esperienza insostituibile?

Non credo che trattare il diritto a suonare dal vivo come una sorta di “diritto acquisito” sia la strada da seguire. Forse in questo modo si risolverebbero alcuni problemi nel breve termine, ma alla lunga saper rispondere alla domanda sul perché valga la pena andare a un concerto è decisivo. È vero che dietro a uno spettacolo c’è il lavoro di tante persone - e questo è un valore in sé - ma è anche vero che senza pubblico non esiste spettacolo: più o meno consapevolmente, tutto quello che facciamo lo facciamo per qualcuno. Per cui, cosa rende assolutamente insostituibile l’esperienza del concerto dal vivo? Innanzitutto, alla visione di un concerto in streaming il pubblico può applicare categorie e modalità solitamente riservate alla musica registrata. Ciò che esce dalle casse di un computer, di una TV o di un impianto Hi-Fi è qualcosa su cui, a conti fatti, si può mantenere un alto livello di controllo: puoi abbassare il volume, puoi interrompere la riproduzione per riprenderla in un secondo momento, puoi parlare ad alta voce... nella sala da concerto questo rapporto si inverte: non è la musica a essere una parte “controllabile” della propria vita, ma è la vita stessa a confluire nell’alveo di un fiume in piena che non hai potere di gestire e che può condurti a lidi inattesi.

Il motivo per l’esperienza del concerto dal vivo è insostituibile - e lo sarà sempre - per me è proprio qui, nell’umanissima necessità di perdere il controllo, di uscire dalla propria comfort-zone, per entrare in quell’orizzonte immenso a cui Rossini dà corpo alla fine del suo Guillaume Tell.

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