Erri a pezzi Le banalità di De Luca

Erri a pezzi Le banalità di De Luca

I o penso che tutti se la prendano con le dichiarazioni No Tav di Erri De Luca perché nessuno legge i suoi libri. Altrimenti ci sarebbe da sbellicarsi. L'ultimo appena uscito, ovviamente per Feltrinelli, è una lagna su una ragazza salvata dai delfini che vive in un'isola greca, si chiama Irene, titolo: Storia di Irene. Trama: Irene incontra un vecchio scrittore napoletano rimbambito. Ogni riferimento, per carità, è puramente casuale.
Tutto il librino striminzito, come ogni operina di De Luca, va avanti così: lui e Irene, Irene e lui, con metafore da pisciarsi sotto. Tipo: «Ecco che mi ricordo una canzonetta oscena di ragazzi: “Quando le ragazze diventano bottiglie, i ragazzi vogliono fare i tappi”. Con Irene è il contrario, io sono la bottiglia e pure il tappo. Lei è la vita che cerca posto nel mio sottovetro». Irene non parla con nessuno, solo nella bottiglia di Erri, e quando parla «la voce di Irene diventa un suono di passi in una sala vuota, rauca di risveglio». Neppure Scalfari, neppure Baricco arrivano a tanto. Sarà bella almeno, questa Irene? Solo per Erri, sentite qui: «la pelle di Irene è fitta di peluzzi gialli, uno strato di fiori di ginestra. L'odore è di salmastro, di barca da pesca». Uno normale la schiferebbe o la porterebbe da un'estetista e a farsi una doccia disinfettante, Erri le ammira pure il naso che «si arriccia per annusare meglio e intorno si increspano le sue lentiggini di prugna».
Così Erri vaga sull'isola, felice, meditando sul mare come grembo materno, altra metafora mai sentita. «Certi giorni sull'isola ho i sussulti di felicità di un cane che non la trattiene e un po' se la sgocciola addosso». Tra l'altro Irene, che si nutre di pesce crudo e allontana le api con sterco di capra, è incinta, non si sa di chi, «nessuno conosce chi è stato a mettersi sopra Irene», e ci credo, chi ha il coraggio di ammettere di essersela scopata? Lìunico sospettato, secondo me, in questa litania amorosa della puzza di pesce e di piscia, è Erri, che ammette: «I sensi hanno una stazione centrale da dove si smistano».
Comunque Erri avrebbe meritato il Nobel al posto della Munro, perché legge la Bibbia e riflette sugli immigrati clandestini sulle navi che «con le prue affilate aprono le onde a riccioli di burro». Non è colpa sua se usa metafore tremende, lui si limita a raccogliere. «Io raccolgo storie, non le invento. Vado dietro la vita a spigolare, se è un campo, a racimolare, se è una vigna».

Peccato, se solo avesse messo il nome dell'isola sarebbe stato un libro utilissimo: l'avrei proposta non per il Nobel per la pace, come Lampedusa, ma come test per gli esperimenti nucleari, per disintegrare a livello molecolare questi due puzzoni.

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