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Esistono elementi indivisibili? I quark e lo "zoo di particelle"

Dalla tavola periodida degli elementi al Modello standard in fisica. Gli studi per rispondere al dilemma di Aristotele e Democrito

Esistono elementi indivisibili? I quark e lo "zoo di particelle"

Prendiamo un oggetto qualunque, per esempio la tazzina nella quale avete preso il caffè dopo pranzo (o bicchierino monouso se siete andati al bar in questo periodo), e dividiamola a metà, poi ancora a metà, e così via. Possiamo continuare all’infinito, come sosteneva Aristotele, o ad un certo punto incontreremo dei “mattoncini”, cioè degli ingredienti essenziali indivisibili, come nella “teoria atomica” di Democrito?

La corsa moderna per rispondere a questa domanda comincia intorno alla fine del 1700. Gli studi di elettrochimica introdotti negli anni precedenti portarono ad un’impennata nella scoperta di nuovi elementi chimici: cobalto, idrogeno, ossigeno, azoto, cloro sono solo alcuni di quelli scoperti nel 1700. Chimici e scienziati d’Europa cominciarono inoltre a capire che tutti questi potevano essere raggruppati ed ordinati secondo alcune proprietà. Per esempio ferro e potassio sono metalli, mentre ossigeno e carbone no. Ci sono elementi soffici, reattivi, inerti… e ciascun elemento può avere più caratteristiche contemporaneamente. I tentativi di mettere ordine tra tutti questi elementi si evolsero dalla creazione di piccoli gruppi di tre, quattro o cinque elementi per certi versi “simili” tra loro fino alla poderosa opera di Mendeleev che alla fine del diciannovesimo secolo propose la tavola periodica degli elementi, molto simile a quella che usiamo ancora oggi in chimica, ordinando gli elementi secondo il loro peso atomico.

Tavola periodica elementi

Gli elementi della tavola periodica erano ordinati secondo una logica così stringente da costringere Mendeleev a lasciare dei posti vuoti nella tavola. Immaginiamo di dare un mazzo carte da poker ad una persona che non ne conosce l’esistenza. Dopo un po’ di osservazione, questa persona comincerà probabilmente ad organizzarle secondo la caratteristica più evidente: le nere e le rosse. Poi caratteristiche più affinate, i cuori con i cuori, le picche con le picche e così via. E ancora a seconda del numero di fiori sulla carta, il numero di quadri, e via dicendo. Scoprendo così che le carte possono possedere più caratteristiche insieme: essere nero, picche e un due, così come c’è un altro due che è invece rosso e quadri. Immaginiamo ora di aver fatto uno scherzo rimuovendo dal mazzo il tre di cuori e il cinque di fiori. La classificazione fatta finora è talmente logica e consistente che la nostra persona sarà persuasa dal fatto che mancano delle carte dal mazzo. Non solo, sarà capace di dire precisamente che a mancare sono il tre di cuori e il cinque di fiori. Due carte che non sono nel mazzo che ha in mano, ma che devono esistere. Detto in termini scientifici, la teoria elaborata per descrivere le carte spiega così bene le osservazioni, ed è così logica e consistente, che predice l’esistenza e le caratteristiche esatte di due nuove carte. Nel caso della tavola periodica, quei posti lasciati vuoti predissero l’esistenza di elementi sconosciuti che sarebbero stati infatti osservati nei decenni a venire.

La logica stringente usata da Mendeleev, inoltre, scaturiva da un fatto non ancora noto all’epoca e che decretò un ulteriore step nella nostra comprensione della materia: i diversi elementi chimici non sono affatto così elementari. Non servono decine e decine di mattoncini diversi per costruire tutta la materia che conosciamo. Infatti, anche se è vero che ad ogni elemento chimico corrisponde un atomo diverso, l’atomo, contrariamente a quello che dice il nome stesso, non è affatto indivisibile. È a sua volta costituito da tre tipi di particelle. Protoni e neutroni si stringono insieme a formare il nucleo intorno al quale orbitano gli elettroni. Con sole tre particelle, dette subatomiche, possiamo formare tutti i 118 elementi della tavola periodica, e in base al numero e posizionamento delle stesse possiamo spiegare come variano le proprietà degli elementi chimici da un casella all’altra. Una potente teoria più fondamentale capace di spiegare l’ordine e la classificazione precedentemente proposti.

zoo delle particelle

Ma è la fine della storia? Se così fosse questo articolo sarebbe solo un ripasso di quanto studiato a scuola. Ripasso che invece ci introduce e ci facilita la comprensione dell’attuale risposta della fisica alla domanda posta all’inizio. Il più raffinato modello che abbiamo oggi per classificare le particelle che conosciamo, nonché una delle teorie fisiche più studiate e confermate sperimentalmente: il cosiddetto Modello Standard delle Interazioni Fondamentali. Ma l’articolo è già lungo. Perciò ecco un assaggio, e nelle prossime settimane vedremo la ricetta completa.

L’osservazione diretta delle tre particelle subatomiche venne completata negli anni trenta. A partire dallo stesso decennio, grazie all’uso di acceleratori di particelle e allo studio dei raggi cosmici, gli scienziati cominciarono però ad osservare nuove particelle “elementari” mai viste prima, ciascuna con le sue caratteristiche, e alle quali diedero nomi bizzarri come muoni, pioni, kaoni, lambda o sigma. Decine di nuove particelle si aggiungevano alla lista, tanto da spingere Enrico Fermi ad affermare che "se mi ricordassi il nome di tutte queste particelle, sarei un botanico". Uno “zoo delle particelle” simile allo zoo di elementi chimici della fine del 1700, e che caratterizzò un periodo molto caotico per la comprensione della fisica delle particelle. Come per gli elementi chimici, l’idea di ordinare le nuove particelle secondo alcune caratteristiche si rivelò quella vincente. Vari fisici cominciarono a cercare relazioni tra queste particelle, neutroni e protoni inclusi, partendo dal presupposto che non fossero in realtà elementari. Il criterio giusto fu trovato indipendentemente da due fisici, Murray Gell-Mann e George Zweig. Emersero organizzazioni descrivibili con strutture geometriche come triangoli ed esagoni, tutte contenenti motivi triangolari (vedi immagine). Di nuovo, come per la tavola periodica, queste organizzazioni permise a Gell-Mann di anticipare la scoperta di una nuova particella non ancora osservata: all’appello, infatti, mancava il vertice di un triangolo, il quale sarebbe stato presto riempito dalla scoperta sperimentale di una nuova particella, chiamata Ω-, con le proprietà predette dal modello stesso. E di nuovo come nel caso della tavola periodica, queste strutture geometriche scaturivano in realtà da proprietà della materia ancora più fondamentali. I due fisici intuirono e proposero indipendentemente nel 1964 che le particelle da loro organizzate dovessero essere composte da tre particelle elementari, particelle che Gell-Mann chiamò “quark”.

Bel nome, penserete, chissà quale complicato significato matematico e fisico nasconde? Beh, in realtà Gell-Mann lo prese in prestito da una novella di James Joyce, in cui il protagonista sogna di servire da bere ad un gabbiano ubriaco. Il volatile, invece di chiedere ‘tre quarti’ (‘three quarts’) di birra ne chiede ‘tre quarki’ (‘three quarks’). Questo è solo uno dei nomi fantasiosi inventati dai fisici delle particelle per descrivere nuove proprietà e particelle: stranezza, colore, bellezza, top, down, gluone… . Ma entreremo più nel dettaglio la prossima settimana.

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