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Falce, fascio e cinepresa Quando l'Urss si metteva in mostra (del cinema) a Venezia

Falce, fascio e cinepresa Quando l'Urss si metteva in mostra (del cinema) a Venezia

Nel 1971 la «diplomazia del ping pong», un torneo di tennis da tavolo fra cinesi e statunitensi, contribuì alla distensione tra Pechino e Washington e aprì la strada alla visita di Nixon in Cina con cui si ristabilirono i rapporti fra le due Superpotenze. Lo stesso capitò fra Italia e Urss le quali cercarono di rompere il reciproco isolamento utilizzando la Mostra del Cinema di Venezia attiva fin al 1932. Di questo tema tratta la documentatissima ricerca di Stefano Pisu, Stalin a Venezia. L'Urss alla Mostra del cinema fra diplomazia culturale e scontro ideologico, 1932-53 (Rubbettino). L'Italia fascista e la Russia comunista erano, d'altra parte, meno distanti di quanto oggi si immagini. Deciso a debellare la minaccia rossa in patria, Mussolini non nascose mai le sue simpatie per l'Urss. Uno Stato che, come Italia e Germania, era stato umiliato dal Trattato di Versailles del 1919 dettato da Francia, Inghilterra e Usa. Una nazione giovane e proletaria che per garantire la sua sopravvivenza era fatalmente destinata a battersi, al pari di quella italiana, contro le Potenze capitalistiche nella perenne «guerra del sangue contro l'oro». Un Paese, infine, ricco di risorse naturali, indispensabili allo sviluppo della nostra economia, che il regime fascista riconobbe ufficialmente, prima di altri governi europei, nel 1924 e con il quale siglò, nel '33, un «Patto di amicizia, non aggressione e neutralità».
Questa intesa si consolidò sotto il segno della Settima Arte. E si trattò d'intesa culturale e politica. Culturale, perché la produzione sovietica offriva alla propaganda fascista un modello di film-manuale d'ispirazione didattica in grado d'indottrinare le grandi masse. Politica, poiché proprio Luciano De Feo, direttore dell'Istituto Luce e artefice dell'asse cinematografico Roma-Mosca, dichiarò, nel '32, «che il fascismo sta andando verso il comunismo per altre vie e che gli italiani sanno dare il giusto giudizio a ogni calunnia internazionale sull'Urss, consapevoli del fatto che le stesse calunnie sono diffuse verso l'Italia fascista».
Le pellicole presentate al festival veneziano raccolsero anche un caloroso giudizio di critica. Come scriveva Eugenio Giovanetti sulla Gazzetta del Popolo di Torino nell'agosto 1934, «il regista russo è in grado, più di ogni altro, di tradurre l'ideologia in narrazione concepita in termini schiettamente cinematografici, conservando nelle sue visioni un'atmosfera di grandiosità e di eroismo che passa dal mondo della macchina a quello dei campi e degli stadi; dal soldato, all'uomo dell'officina, al contadino, all'atleta». Questa luna di miele s'interruppe bruscamente nel '35, con l'assenza dell'Urss dalla Mostra del Cinema che si perpetuò negli anni successivi a seguito dell'inizio della guerra civile spagnola, dall'adesione dell'Italia al Patto Anti-Comintern e infine dallo scatenarsi della guerra mondiale.
Il Cremlino tornò a Venezia nel 1946, con il lungometraggio (Il giuramento) di Michail Caureli connotato da una smaccata apologia di Stalin. Si trattò però di un breve ritorno.

L'esasperato carattere anti-occidentale dei film sovietici provocò la loro esclusione, facendone un facile bersaglio del nuovo regolamento della Mostra che vietava la presenza di pellicole offensive per gli altri Paesi. L'Urss si sarebbe ripresentata in laguna solo nel '53, dopo la morte del dittatore sovietico col nuovo corso post-staliniano del «disgelo».

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