Cultura e Spettacoli

Il fascino mortale della poesia italiana Che uccide di noia

Il romanzo di Giorgio Manacorda racconta, a colpi di pseudonimo, il piccolo e terribile mondo dei (cattivi) versificatori contemporanei

Il fascino mortale della poesia italiana Che uccide di noia

Artisti si nasce, critici si diventa, ma poeti si muore. Soprattutto muore chi li frequenta, perché non ne ho mai conosciuto uno che non fosse di una noia mortale, non solo da leggere ma da frequentare, anche solo per pochi minuti. In Italia ci sono poeti ovunque, in ogni provincia, in ogni casa, in ogni famiglia, perché è facile scrivere una poesia, basta andare a capo spesso. Ce ne sono in ogni regione, ma a Sud di più, perché sono più arretrati e hanno ancora lo spirito. Nessuno li legge, ma si leggono tutti fra di loro o si leggono solo loro, sarà per questo che la famosa collana di poesia Mondadori si chiama Lo Specchio.

A Roma poi dove ti giri c'è una setta di poeti estinti ma vivissimi, tutti veri o presunti allievi di Pasolini. Di cui era allievo Dario Bellezza, di cui era allievo Antonio Veneziani, che per la verità è mio amico e di sicuro è il più simpatico (si presenta «come una povera donna sola frocia e ebrea») e alleva a sua volta una schiera di allievi: la poesia è una matrioska horror. Il più insopportabile è Valentino Zeichen, una volta l'ho incontrato a una cena dove sono capitato per sbaglio insieme a Davide Brullo, a casa di Gabriella Sica, un'altra poetessa allieva non mi ricordo più di chi che anziché dare da mangiare ai gatti dà da mangiare ai poeti e, appunto a Zeichen, e avrei voluto strozzarlo pur di farlo stare zitto, o almeno avvelenargli la polpetta.
Ecco perché ho subito comprato l'ultimo romanzo di Giorgio Manacorda intitolato Delitto a Villa Ada, pubblicato da Voland, perché Manacorda racconta dell'uccisione del poeta Vasco Sprache. Uno che vive come un barbone, a Villa Ada, attacca le poesie agli alberi, ha pubblicato nella suddetta prestigiosa collana di specchi, viene chiamato il «poeta baraccato», il «poeta attendato», e insomma ci vuole poco a fare due più due, chi altro può essere, è Zeichen. Ucciso con un filo d'acciaio, cioè come farebbe Dexter, e come verrebbe naturale fare a chiunque quando ti si avvicina un poeta, o a me quando mi si avvicina chiunque mi parli dello spirito, perfino se non santo.
Anche Manacorda è un allevatore di poeti notevole, non so se butta loro le polpette come la Sica ma me lo ricordo come un signore riservato ed elegante e perché mi arrivavano i suoi annuari di poesia pubblicati da Castelvecchi: erano incellofanati e li scartavo solo per metterli nel cassonetto giusto della raccolta differenziata, il cellofan da una parte, il libro dall'altra. A un certo punto hanno smesso di pubblicarli, oppure hanno smesso di mandarmeli, non mi sono mai informato.

Comunque il romanzo manacordiano è una simpatica parodia del pasticciaccio di Gadda, il questore si chiama perfino Incravallo, tante volte non si fosse capito, e Manacorda è candidato al Nobel, pertanto è un romanzo di fantascienza. Oltretutto ci si ammazza per una fantomatica macchina da scrivere d'oro, un'idea molto carina, direi deliziosa, e devo dire che negli anni Cinquanta sarebbe stato un romanzo da premiare, mentre oggi tutt'al più è allegabile alla Lettura del Corriere della Sera. È nondimeno un romanzo realistico, c'è Paris che telefona a Manacorda che telefona a Cordelli che ritelefona a Paris per darsi appuntamento, ti fa vedere come vivono i letterati, come gli impiegati di Fantozzi.
Tra l'altro, siccome Manacorda è un poetologo, ti racconta le qualità migliori della poesia in poche righe: «Pasolini pattinava sulla soglia del crimine tutte le notti; Penna era ai limiti della pedofilia, e Pascoli con il suo morboso rapporto con la sorella poteva diventare benissimo un serial killer». Io direi che non c'è altro di interessante da dire sui poeti moderni, mentre sugli antichi c'è di buono che sono mortissimi. Tuttavia qui stiamo parlando di allievi, e di allievi degli allievi, l'unica cosa criminosa che fanno è venire tutti a correre a Villa Ada, praticamente sotto casa mia, una scoperta per me terrificante. E si limitassero a correre.

Andando a Villa Ada potreste trovarvi di fronte Renzo Paris che piscia, perché ha problemi alla prostata, o non ha più la prostata, ci rivela Manacorda, e Manacorda stesso si ferma a pisciare in continuazione, avrà la prostata pure lui. È un romanzo in cui pisciano tutti, come cani ma peggio, perché i cani sono belli e invece questi sono poeti, e non solo poeti. Infatti uno dei personaggi, Ulisse Benedetti, ha fondato il Festival di Castelporziano, quindi è Franco Cordelli, quindi pure Cordelli viene a pisciare a Villa Ada con Manacorda, Paris, Zeichen e compagnia brutta, ci verrà pure la Sica e dietro di lei un altro strascico di poeti, non so se mi spiego. Speriamo che il sindaco Alemanno, che dopo un mio articolo dette la mossa alla costruzione della nuova casa per gli orango al Bioparco di Roma, dopo questa mia nuova denuncia prenda provvedimenti immediati. Arrestarli per la tutela ambientale di Villa Ada, della flora, della fauna, e dell'umanità in generale mi sembra il minimo. Oppure, siccome amano la natura poetica, metterli a correre e pisciare proprio al Bioparco.

Nel living dei leoni andrebbe benissimo.

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