Quel tipo era davvero «troppo avanti». Così avanti da digitalizzarsi in tempi non sospetti. Quel tipo ovviamente è Andy Warhol, e la sua genialità, stavolta, la troviamo in un archeologico floppy disk. Era il 1985, e il visionario di Pittsburgh aveva accettato di buon grado di pubblicizzare Amiga 1000, un modello di computer Commodore dalle notevoli (per l'epoca) capacità grafiche. Così lui, che era digitale nella testa, divenne digitale anche di fatto. Ed ecco nascere una lattina della famosa Campbell Soup, una rielaborazione pixelata della Venere di Botticelli, la banana del primo album dei Velvet Underground, un autoritratto da una foto e altre otto opere...
Ci sono voluti quasi trent'anni per riscoprirle, grazie a un'intuizione dell'artista di new media Cory Arcangel, alla collaborazione dell'«Andy Warhol Museum» di Pittsburgh e all'ingegno di un gruppo di studenti del Computer Club della Carnegie Mellon University. Durante una passeggiata in Rete, Arcangel aveva visto su YouTube il filmato di un'intervista di Warhol in cui Andy manipolava una foto di Debbie Harry, la cantante dei Blondie, dicendosi affascinato dalle immagini digitali perché vicine al suo modo di lavorare. «Ma quel dischetto, non l'avranno mica distrutto, vero?», si era chiesto sudando freddo Arcangel. Battendo palmo a palmo, previa autorizzazione, l'intero museo warholiano, il dischetto effettivamente lo aveva trovato. Ma il formato obsoleto lo rendeva illeggibile. Era quindi necessario «tradurlo» in un linguaggio accessibile. La delicata operazione di «retrocomputing», cioè la decrittazione da vecchi computer, è stata affidata ai benemeriti secchioni informatici. Quindi, il lieto fine, con 12 Andy Warhol... vecchi di zecca.
Il prossimo 10 maggio, alla Carnegie Library Lecture Hall di Pittsburgh verrà proiettato un breve documentario che illustra la vicenda. È la stele di Rosetta dell'arte digitale. L'ennesima conferma del fatto che Andy Warhol era talmente «avanti» da funzionare anche in rewind.
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