Californiano di quarta generazione. Una rarità. Una biografia che sembra un road movie («Ma non infilatemi in nessuna delle categorie che riguardino il fottuto Kerouac»: i suoi miti sono Hubert Selby e Eugene O'Neill). Le idee precise riguardo a New York, la mecca dove cercò fortuna: «Il miglior posto al mondo dove perdersi e rimanere perduti». E riguardo a Los Angeles, in cui tornò per fare il taxi driver: «Qualcuno mi ha offerto un portafogli pieno e un attacco di emorroidi per tornarci. Ma delle emorroidi me lo ha detto solo quando era troppo tardi per rifiutare».
Ma con un padre che ha un nome e un carattere ingombrante come John Fante, le idee chiare su una serie di cose devi pur averle. E a Dan Fante, uno dei suoi quattro figli, classe 1942, scrittore come John e, sempre come John, di quel tipo particolare che si definisce «di culto», le idee si sono snebbiate del tutto solo quando ha smesso di bere. Finché beveva, sentiva dentro di sé la forza della follia. Quando ha smesso, ha cominciato a sentire quella del talento. Ha pubblicato Chump Change, Mooch, Spitting off tall buildings, tre romanzi che hanno come protagonista Bruno Dante, suo alter ego, come Arturo Bandini lo era del padre (Angeli a pezzi, Buttarsi e Agganci sono pubblicati in Italia da Marcos y Marcos), Short dog, raccolta di racconti, diverse raccolte di poesie e commedie, tra cui una, Don Giovanni, dedicata al padre (anch'essa pubblicata da Marcos y Marcos).
Nel '99, alla sua prima visita in Italia per il Festival di Mantova, Fante ha voluto vedere il paese da cui il nonno, Nick, nel 1901 partì per gli Stati Uniti, Torricella Peligna, alle falde della Majella, che da domani celebra il padre, John, l'autore di Chiedi alla polvere e Aspetta primavera, Bandini, con la settima edizione del Festival a lui dedicato, «Il dio di mio padre» (dal titolo di un suo racconto). E da allora l'Italia lo ha stregato.
Di nuovo in Abruzzo per celebrare suo padre. Dell'anima italiana che cosa c'è in lei?
«Il mio temperamento. E la mentalità. Nel cuore sono italiano. E avete una grande influenza su di me».
I ricordi, le storie, il successo: che cosa significa fare lo scrittore con un padre scrittore?
«Mio padre non era mica famoso quando ero un ragazzino. Scriveva sceneggiature di film hollywoodiani di serie B. Lui era solo un padre e io ero solo un figlio. Solo quando sono diventato adulto lui è diventato John Fante. La cosa straordinaria di lui, però, è che non ha mai venduto i suoi sogni. Ha sempre creduto in se stesso. Sapeva di essere un grande scrittore anche quando nessuno gli avrebbe dato una sola chance. Io amo scrivere. È il desiderio che covo nel cuore più di ogni altro. E in questo siamo uguali».
Da che cosa ha capito che aveva svoltato?
«Fin dall'inizio. Sono stati i film che lo hanno dirottato verso i soldi facili e distratto dalla buona letteratura».
Bruno Dante e Arturo Bandini: sono gli alter ego romanzeschi suo e di suo padre. Che cos'hanno in comune?
«Sono completamente diversi. A parte che per l'arroganza. E l'ambizione. E perché sono complicati. E appassionati».
La sua strada verso la scrittura come è cominciata?
«Sono cresciuto a Malibu, vicino al mare. A scuola andavo male. L'unica cosa che mi piaceva era il baseball, ci giocavo spesso con papà. Poi ho imparato ad amare i libri. Poi a scrivere. E alla fine è diventata questa l'unica passione della mia vita».
Poi sono arrivati i vent'anni. E New York.
«Ero spiantato. Senza casa. Ho lottato mesi per trovare lavoro. Ne ho passati una cinquantina. Una volta sono stato così male per la fame e la depressione che mi hanno dovuto ricoverare. Molti anni dopo, ho cominciato a guidare i taxi. E nel tempo libero scrivevo. Finché ho raggiunto quota mille poesie».
Ma era ancora un alcolista.
«L'alcool mi ha accompagnato per anni. Gli scrittori che sono anche bevitori sono destinati a tempi duri, nella vita e nell'arte. Finché non ho smesso di bere non posso dire di aver scritto davvero. Ma quando ce l'ho fatta, è stato come se qualcuno avesse aperto le cateratte: non sono più riuscito a smettere di raccontare storie».
Scrivere è diventato una disciplina?
«Eccome. Scrivere mi ha dato la fiducia necessaria per andare avanti. Ho imparato a disciplinare me stesso. E non ho più mollato».
Eppure lei ha spesso sostenuto che la gente sta perdendo il gusto per le storie.
«La gente legge di meno perché la televisione e il computer affascinano molto più dei libri. È terribile. Perché la storia e la passione del genere umano stanno solo nei libri».
Da domani a domenica a Torricella Peligna (Chieti), paese di origine di Nick Fante, padre dello scrittore, si svolge la settima edizione del Festival letterario «Il Dio di mio padre», dedicato a John Fante e diretto da Giovanna Di Lello. Il focus di quest'anno è incentrato su «Full of life» (Einaudi), il romanzo più autobiografico e comico di Fante, a sessant'anni anni dalla sua pubblicazione.
Tra gli appuntamenti della kermesse, sono previsti una lectio magistralis di Sandro Veronesi, scrittore e grande estimatore della narrativa di Fante, un reading-concerto di Vinicio Capossela e la consegna del Premio letterario John Fante, con le nuove categorie «Opera prima» e «Abruzzo». Ospite d'eccezione della due giorni sarà Dan Fante, il figlio del grande scrittore italo-americano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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