Fuga dal salotto snob di Documenta Per fortuna Munster è un po' più solida

A Kassel, tanta teoria e poca sostanza. Un po' meglio lo Skulptur Projekt

Fuga dal salotto snob di Documenta Per fortuna Munster è un po' più solida

Ne ho viste tante di edizioni di Documenta: trattandosi di un appuntamento quinquennale, sconsigliabile mancare se si vuol capire la temperatura dell'arte «contemporaneissima», quella del qui e ora. A maggior ragione Skulptur Projekt, mostra che si tiene ogni dieci anni, non può essere proprio tralasciata. Ecco la ragione del viaggio in Germania - tempo meraviglioso, sole e fresco - tra Kassel e Munster, percorrendo autostrade che saranno pure gratuite ma puntellate di cantieri ovunque, da noi gli automobilisti li maledirebbero, i tedeschi subiscono, pazienti, le code infinite.
Adam Szymczyk, polacco classe 1970, è considerato una superstar tra i curatori. Ha lavorato a De Appel, Amsterdam, alla Kunsthalle di Basilea e alla Biennale di Berlino. Nominato alla direzione di Documenta, si è dimostrato così sicuro di sé da voler sdoppiare la rassegna in un'anteprima ad Atene aperta lo scorso aprile. Questo perché rifiuta l'Europa a due velocità, rivendicando l'importanza della cultura ellenica nel nostro background mediterraneo. Il rifacimento del Partenone utilizzando migliaia e migliaia di libri per 12 metri d'altezza, opera straordinaria dell'argentina Marta Minujín, è divenuto il simbolo della mostra, a porre il giusto peso sull'importanza della parola scritta in un'epoca, la nostra, contrassegnata dall'ignoranza. Ci dà il benvenuto in Friedrichsplatz. Bellissima. Foto di rito. Poi cominciano i problemi.
Perché come tutti i curatori convinti, ahimè, di essere loro e soltanto loro i protagonisti della questione, anche Szymczyk si è «allargato», andandosi a cercare ogni possibile spazio di Kassel. Ne contiamo 33, difficilissimo trovarle, poiché le mappe sono disegnate molto male dal grafico fighetto di turno, impossibile visitarle tutte, a meno di starci una settimana. L`abitudine alla «mostra diffusa» è abusata, noiosa, sottrae attenzione all'opera e alla sua collocazione. Nelle sedi storiche, peraltro, è difficilissimo entrare a causa di code che gli addetti non riescono a gestire. Per esempio non ho visto la Neue Galerie, dopo una lunga camminata, almeno due ore d'attesa, non esiste; però ho scoperto la Neue Neue Galerie, un tempo ufficio postale, quel tipo di spazio prediletto dai fan dei centri sociali e dell'archeologia industriale fatiscente, ottimo per ospitare grandi installazioni e odore di cannabis.
Nonostante il dispendio di energia e l'impietoso tour de force cui il visitatore è costretto, di questa Documenta non si capisce nulla. Quale il senso, la poetica, il filo conduttore che lega le svariate esperienze? Non uno straccio di spiegazione neppure nei materiali stampa, un qualche cartello, persino le didascalie sono scritte su fogli volanti. L'atmosfera risulta quella di un Expo di ultrasinistra equa e solidale. Entriamo nelle venues più classiche, contando sull'abitudine. Al Fridericianum è esposta la collezione dell'EMST, il museo nazionale greco di arte contemporanea. Un'ospitata, insomma. Lodevole, ma perché? Forse Szymczyk ha da passare l`estate a Mykonos o Santorini. Almeno la Documenta Halle presenta, come giocattoloni senza una logica a noi chiara, alcune opere interessanti. Segnalo giusto la pittura di Stanley Whitney, americano, perché mi piace molto. Ok, approfondirò le ragioni attraverso il catalogo. Magari: la prima pubblicazione è un giornale di bordo, anche grazioso ma piuttosto svincolato dalla mostra. La seconda una raccolta di testi teorici, una palla mortale, che lascio volentieri alla cassa.
Che Documenta bislacca, superba, inutile, trionfo di un modo di far mostre francamente insopportabile, in scena fino al 17 settembre per i classici 100 giorni. A Munster va appena un po' meglio, perché nonostante la dispersione in tutta la città - prendiamo la bici, le passeggiate nei parchi sono molto piacevoli - almeno qui le opere ci sono, evidenti nella loro forma e sostanza. Skulptur Projekt nasceva nel '77 da un'idea di Kasper König, uno che dell'arte aveva una visione concreta e sana: ogni dieci anni spostare mezzo mondo in Vestfalia per installazioni all'aperto che poi sono diventate parte integrante dell'arredo urbano. Se il patrimonio «storico» risulta di gran livello, alcuni lavori inaugurati nel 2017 reggono bene, a cominciare dalla stupenda installazione di Michael Dean al LWL Museum, che riesce a costruire ambienti complessi solo con materiali di scarto. E poi Thomas Schütte, Gregor Schneider, Nicole Eisenman, Lara Favaretto (unica italiana in due mostre, che continuo smacco per il nostro Paese). Anche a Munster ci vuole molto tempo se si vuol vedere abbastanza. Però non ci si annoia, fino all'1 ottobre.
I tedeschi sono molto fieri dell'estate contemporanea 2017. La gente ci va, i turisti arrivano, gli hotel raddoppiano i prezzi. Però queste mostre hanno stancato. La wish list, il name dropping, non bastano più. Kassel e Munster dovrebbero dirci qualcosa sullo spirito dei tempi, su conflitti, soluzioni, sulla posizione dell'artista nel mondo di oggi. Mancando i legami, i nodi, le questioni, come spesso succede restiamo più affascinati dai vecchi, da quelli attivi negli anni '60 e '70.

Criticabili ma sinceri. Quest`arte che, nel terzo millennio, confonde la militanza con il salotto buono, ha rotto le scatole. Meglio, molto meglio, la Biennale di Venezia: vince il confronto da qualsiasi punto di vista.

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