dal nostro inviato a Venezia
Le conseguenze dell'odio. Le ripercussioni della guerra. La linea nera del genocidio armeno e di quello indonesiano. E non solo. Una linea che si allunga per generazioni e riemerge nei sensi di colpa, nella follia, nel degrado. Non sono ripercussioni politiche su nazioni ed equilibri diplomatici. Né moventi ideologici o di pacifismi manierati. Ma conseguenze personali, esistenziali, famigliari. La 71ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia che inizia oggi con la proiezione di Birdman di Alejandro Gonzalez Iñárritu ha il baricentro nella riflessione sulla violenza. Ce ne sono altri, certo, che si allargano come cerchi concentrici e che scopriremo giorno per giorno. Ma intanto, mentre davanti ai manifesti con splendide modelle testimonial di gioielli, cosmetici e champagne, sponsor della Mostra, fervono gli ultimi preparativi, si può dire che il filone principale è questo. Che cosa succede nella vita delle persone e nella mente di chi combatte, durante e soprattutto dopo che la guerra ha dispiegato le sue atrocità?
Nel cartellone non solo c'è l'olocausto degli ebrei, che ritorna in Tsili di Amos Gitai, fuori concorso. C'è soprattutto la strage del popolo (cristiano) armeno che nell'aprile 1915 inaugurò i genocidi del «secolo breve» e che la diplomazia internazionale non ha ancora unanimemente riconosciuto (proprio nei giorni scorsi l'arcivescovo di Buenos Aires ha annunciato che papa Francesco celebrerà una messa solenne nel giorno del centenario). Poi ci sono la guerra per la liberazione d'Algeria ( Loin des hommes ), e quella moderna, combattuta con i droni. L'aveva anticipato al Giornale il direttore Alberto Barbera: il filo conduttore di quest'anno è «la guerra. Non nel senso che vedremo film militari, ma su storie connesse a situazioni di conflitto. Del resto, basta pensare a ciò che ha detto il Papa sulla terza guerra mondiale...». Perciò bisogna riconoscere che la Mostra è pronta a riflettere la contemporaneità, ora che assistiamo alle persecuzioni dei cristiani in Iraq, alla crisi nella striscia di Gaza, al conflitto in Ucraina.
Con le eccezioni di Ararat di Egoyan e di La masseria delle allodole dei fratelli Taviani (dal romanzo di Antonia Arslan), per il cinema mondiale il genocidio armeno è tabù. Con The Cut s'incarica di riaprire la ferita Fatih Akin, cineasta tedesco di origine turca spesso premiato ai festival ( Soul Kitchen a Venezia 2009), narrando la vicenda di un fabbro che la polizia ottomana separa dalla famiglia. Sopravvissuto alla «pulizia etnica», scoprirà anni dopo che le sue figlie gemelle sono ancora vive. Per ritrovarle intraprenderà una ricerca che lo porterà dal deserto della Mesopotamia a L'Avana fino al Nord Dakota e non gli risparmierà incontri spaventosi. Il film «esplora il tema del diavolo - ha detto Akin - esaminando il male che siamo capaci di infliggere agli altri, sia inconsapevolmente sia deliberatamente, evidenziando la sottile linea che spesso separa il bene dal male».
Altro genocidio dimenticato, quello indonesiano consumatosi negli anni '79, al centro di The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, in cui un ragazzo sceglie d'incontrare i carnefici di suo fratello. In assenza di un processo che chiarisca responsabilità storiche, il documentario mette a confronto i superstiti e gli assassini dei loro famigliari. L'opera più estrema sarà Nobi (Fires on the Plain) , del giapponese Shinya Tsukamoto. Il suo protagonista è un militare malato della Seconda guerra mondiale, abbandonato dal suo plotone nella foresta di un'isola delle Filippine. Nel delirio della fame vedrà nei suoi compagni il cibo per sopravvivere. Lo scopo del regista è iniettare in ogni fotogramma «l'orrore e le grida di settant'anni fa, di coloro che sono marciti nella giungla. Se ne sentirete l'odore vuol dire che sono riuscito nel mio intento».
Con Good Kill di Andrew Niccol giungiamo infine al futuro. Anzi, al presente. Al comando di un F16, Tommy Egan (Ethan Hawke) ha partecipato a missioni in Iraq e Afghanistan.
Ma ora che è a casa, nel Nevada, continua a bombardare il sud-est asiatico da una cabina di pilotaggio di droni. Sorveglia il nemico a distanza finché riceve l'ordine di ucciderlo. Cacciare i talebani è il suo lavoro, ma la sera litiga con moglie e figli. Gestire questa schizofrenia è sempre più difficile...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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