Cultura e Spettacoli

Hitler e Pericle, le vite parallele (ma divergenti) di due leader

Entrambi consideravano la forza unica fonte di legalità. Il Fuhrer coltivava il mito dell'ateniese e si proponeva quale suo continuatore. Due saggi spiegano come il nazismo si è ispirato all'antica Grecia

Hitler e Pericle, le vite parallele (ma divergenti) di due leader

Racconta nelle Memorie del terzo Reich Albert Speer, l'architetto del Führer, che Adolf Hitler sosteneva di essere il nuovo Pericle. Nutriva ammirazione per l'ateniese e ciò è confermato non solo da altre conversazioni con lo stesso Speer contenute nei Diari segreti di Spandau, ma pure da qualche passo del Mein Kampf, per esempio laddove Hitler parla di «fioritura dell'epoca periclea» venuta fuori «dalle miserie delle guerre persiane» o dove paragona l'età di Pericle «personificata dal Partenone» al «presente bolscevico» simboleggiato da «una smorfia cubista».

Il fatto che l'uomo al cui nome viene associata, secondo una immagine non del tutto esatta ma consolidata, la piena realizzazione della democrazia ateniese venisse considerato un punto di riferimento dal padre del nazionalsocialismo potrebbe apparire stravagante e sconcertante. Tanto più se si pensa che, in un Paese di tradizioni liberali come la Gran Bretagna, la figura di Pericle fu sempre esaltata: nel 1915, per esempio, in piena guerra mondiale, a Londra gli autobus a due piani esibivano un manifesto con frasi di incitamento di Pericle ai concittadini, mentre decenni dopo, in occasione dell'altro grande conflitto mondiale, i principali uomini politici, primo fra tutti Winston Churchill, indicavano l'Atene periclea come un modello ideale.

Due autorevoli storici francesi, il grecista Vincent Azoulay e il contemporaneista Johann Chapoutot, hanno scritto due importanti lavori la cui lettura in parallelo aiuta a chiarire l'apparente paradosso della fascinazione esercitata da Pericle su Hitler: si tratta di Pericle. La democrazia ateniese alla prova di un grand'uomo (pagg. XVI-306, euro 30) e Il nazismo e l'antichità (pagg. X-528, Euro 34) pubblicati entrambi da Einaudi. Quel processo attraverso il quale il nazismo è pervenuto ad annettersi quasi simbolicamente tutta l'antichità classica presentando «ogni civiltà conosciuta» quale «opera della razza nordica» è visto da Chapoutot come manifestazione di un progetto di riscrittura della storia finalizzato a un disegno totalitario volto ad appropriarsi non solo del presente e dell'avvenire, ma anche del passato. In sostanza, l'antichità greco-romana, secondo tale procedimento, era oggetto di una rilettura e riscrittura che creava un mondo, secondo l'espressione di Hannah Arendt, «fittizio», simbolico e favoloso, ma con una sua interna coerenza. Chapoutot osserva che questo «discorso omogeneo sul mondo antico» si sviluppava «dai canoni dell'ideologia nazista, a partire dal Mein Kampf, agli edifici di Norimberga, passando attraverso i manuali scolastici e gli articoli degli universitari specialisti della questione»: il tutto con lo scopo di fare «di quest'epoca il primo e, con una parte del Medioevo ottoniano e anseatico, l'unico grande periodo della storia indogermanica nordica, con le sue glorie, i suoi tormenti, i suoi errori e la sua morte».

L'idea nazista della creazione di un «uomo nuovo del Terzo Reich» trovava alimento nella fascinazione tedesca per l'arte antica, in particolare per la statuaria greca, e fu alla base, anche, dello sviluppo impresso all'attività sportiva e all'esaltazione dei giochi olimpici. Non a caso Hitler volle che le Olimpiadi di Berlino del 1936 recuperassero, persino a livello di abbigliamento oltre che di cerimoniale, l'atmosfera dell'antichità greco-romana, come peraltro bene testimonia il bel film documentario Olympia di Leni Riefenstahl.

Nel progetto di recupero (e di riutilizzazione) dell'antichità classica ad opera del nazismo rientrò anche la figura di Pericle, uno dei pochi personaggi che hanno dato il loro nome, nel bene o nel male, a un intero secolo. Lo studio di Vincent Azoulay sull'uomo politico ateniese ne ripercorre, con una analisi critica delle fonti, oltre che della letteratura in argomento, le tappe della carriera politica e ne studia le basi del potere rappresentate soprattutto dalle sue doti di stratega e dalla sua capacità oratoria. Quest'uomo, proveniente dall'aristocrazia ma divenuto paladino della fazione democratica, visse nell'Atene del V secolo avanti Cristo, una piccola città con grandi ambizioni, in competizione tanto con la potenza di Sparta quanto con quella dei persiani e dei fenici. Egli riuscì a creare un sistema di governo che, scontrandosi con le antiche clientele, finì per trasformare la polis in una nuova forma di convivenza umana nella quale - l'osservò un grande storico dell'antichità, Mario Attilio Levi, in una vecchia ma ancora suggestiva biografia - la forza era la vera fonte della legalità e della legittimità. Con lui, uomo di frontiera fra due generazioni e due diversi ceti di governo, cambiò anche il rapporto della città con il divino, tant'è che egli divenne, di fatto, portavoce di una «religione civile».

Accanto al Pericle generale e stratega, oratore e uomo di Stato, aristocratico e popolare al tempo stesso, c'è un Pericle uomo di cultura e appassionato di belle arti: il Pericle, per intenderci, del Partenone e dei grandi monumenti ateniesi. E tutto ciò ha concorso alla creazione di quel «mito pericleo» che attraversa la storia della cultura occidentale e, passando attraverso il Rinascimento e il Grand Siècle, giunge fino al Novecento. Azoulay osserva che questo «mito» divenne oggetto della «massima strumentalizzazione» in Germania dopo l'ascesa di Hitler al potere perché proprio lì lo stratega ateniese «diventò l'archetipo del Führer».

L'alta cultura tedesca dell'epoca fu, in gran parte, complice di tale strumentalizzazione. Il grande filologo Max Pohlenz, per esempio, sostenne che la «democrazia del dovere» periclea implicava un Führer cui il popolo potesse credere. Dal canto suo, un altro celebre ellenista, Werner Jaeger, che pure aveva in orrore il populismo dei nazisti e che in seguito sarebbe emigrato negli Stati Uniti per proteggere la moglie ebrea, nel primo volume del suo capolavoro, Paideia, esaltando il «genio di Atene», finì per auspicare per la Germania l'apparizione di una capo carismatico sul modello di quel Pericle che - combinando potenza e spirito, disciplina dorica e creatività ellenica - aveva trasformato Atene in un modello insuperabile: secondo lui, la storia, il caso di Atene appunto, insegnava che una soluzione del genere dipendeva «dall'esistenza di un capo geniale». Lo storico antichista Helmut Berve, poi, nel febbraio 1940 inaugurò l'anno accademico come rettore dell'Università di Lipsia stabilendo un paragone diretto fra Hitler e Pericle e portando così agli estremi la strumentalizzazione politica dello statista ateniese.
Alla base della strumentalizzazione portata avanti da intellettuali e politici nazisti c'erano più elementi concorrenti, ideologici e pragmatici al tempo stesso: l'idea del capo carismatico e del suo rapporto con il popolo, nonché la suggestione di un certo «imperialismo ateniese» che poteva apparire funzionale alle mire espansionistiche tedesche. Ma, soprattutto, c'era lo stereotipo di un Pericle «costruttore» ovvero dell'uomo che aveva avviato i grandi lavori architettonici che avevano immortalato l'immagine di Atene. Non è un caso che Hitler affermasse che uno Stato forte avrebbe dovuto «segnare lo spazio con la sua impronta». Pericle, ma con lui anche Atene e più in generale l'antichità classica, diventava un modello da imitare e da superare.

Il fatto che, poi, quel modello corrispondesse o no alla realtà storica o non fosse piuttosto il frutto di una manipolazione intellettuale e di una strumentazione politica, è un altro discorso.

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