Cultura e Spettacoli

I cinque giorni che cambiarono la storia

Mentre l'Europa cadeva sotto i primi colpi del nazismo, Churchill decise di opporsi a Hitler. Salvando così la civiltà occidentale

I cinque giorni che cambiarono la storia

"Guerra per guerra, leggiamo Five days in London, il libro sui cinque giorni che hanno cambiato il corso della storia. È Churchill che chiama nel governo i laburisti di Attlee. Sono queste memorie e storie arcaiche?". Incuriosito dalle parole pronunciate da Giulio Tremonti mentre lo intervistavo per ilGiornale.it, ho deciso di acquistare Cinque giorni a Londra, il libro (ormai quasi introvabile nella sua versione italiana) scritto da John Lukacs nel 1999 e pubblicato in Italia da Corbaccio nel 2001. Possono cinque giorni - un "dramma in cinque atti", come lo definisce Sergio Romano nella sua premessa - cambiare la storia non solo di un Paese ma del mondo intero? Sì, se analizziamo ciò che è successo a Londra tra il 24 e il 28 maggio del 1940.

Prima di iniziare, però, dobbiamo fare un passo indietro e tornare al 10 maggio, una data chiave sia per il Regno Unito sia per la Germania. Quel giorno, infatti, mentre Winston Churchill veniva nominato primo ministro (una scelta tutt'altro che scontata dato che il re preferiva Edward Wood, I conte di Halifax), Adolf Hitler dava l'ordine di iniziare l'invasione dell'Europa occidentale. "Le coincidenze sono giochi di parole dello spirito", ha scritto Gilbert Keith Chesterton. E così, per coincidenza, il 10 maggio del 1940 iniziò quello che Lukacs, in un altro fortunato libro, ha definito il "duello" tra Churchill e Hitler.

Le truppe tedesche, inquadrate sotto la croce uncinata, penetrano facilmente nei Paesi Bassi e in Belgio, per poi puntare verso la Francia. La loro avanzata sembra inarrestabile, come se fosse mossa da forze ultraterrene. Nessuno riesce a fermare gli uomini di Hitler che, in poco tempo, si trovano a controllare gran parte del Vecchio continente. Uno dopo l'altro, i Paesi europei cominciano a cadere. Eppure qualcuno deve resistere. Quel qualcuno è Churchill: "Nel maggio 1940 né gli Stati Uniti né l'Unione sovietica erano in guerra con la Germania - scrive Lukacs - In quel momento c'erano ragioni perché un governo britannico decidesse perlomeno di verificare la possibilità di un compromesso temporaneo con Hitler". Ma Churchill non volle farlo. Del resto, un simile accordo era stato fatto a Monaco nel 1938 e i risultati di quel patto erano sotto gli occhi di tutti: l'Europa era in fiamme. Era arrivato il tempo di resistere: "Churchill e l'Inghilterra non avrebbero potuto vincere la Seconda guerra mondiale; lo fecero l'America e l'Unione sovietica. Ma, nel maggio del 1940, Churchill fu colui che non la perse". E non la perse per un unico motivo: perché decise di combattere.

L'operato del primo ministro britannico dal 24 al 28 maggio segue due direttrici: creare consenso e unire la nazione. Per questo non solo Churchill apre ai laburisti di Attlee, ma anche (e senza successo) al "disfattista" Lloyd George che, fino a pochi mesi prima, aveva elogiato il dittatore tedesco. "Naturalmente, l'intento principale di Churchill non era rinsaldare solo la fiducia, ma anche l'unione nazionale. Ma c'era un'altra ragione dietro a questo: se il peggio fosse accaduto... E sarebbe accaduto? Churchill era abbastanza uomo di stato per pensare a questa eventualità". Mentre cercava di creare il consenso attorno alla propria figura, il primo ministro britannico si trovò ad affrontare una delle più grandi disfatte della storia militare del Paese: Dunkerque. Oltre 300mila uomini del corpo di spedizione britannico rimasero bloccati sulla spiaggia francese. Davanti a loro i soldati di Hitler. Dietro il mare. Che fare? Bisognava riportarli a casa. Iniziò così l'operazione Dynamo che, nel giro di pochi giorni, riuscì a riportare in patria gran parte dei soldati del corpo di spedizione britannico. "Per Churchill Dunkerque fu, se non una vittoria, sicuramente un sollievo".

Churchill (e il Regno Unito) avevano bisogno di quegli uomini. C'era inoltre bisogno di un'epopea in grado di unire la nazione. E Churchill riuscì in questo intento. Ma non solo. Se da una parte è vero che il primo ministro britannico agì per salvare l'impero, è altrettanto vero che Churchill salvò il mondo occidentale: "Le sue frasi su Londra custode della civiltà occidentale non erano solo retorica: c'erano, nei palazzi della città, i re e le regine dell'Europa occidentale in esilio; c'era per le strade la variopinta presenza delle uniformi dei loro soldati e marinai (compresi, a migliaia, i valorosi polacchi); c'erano i concerti di Bach nelle annerite sale vittoriane - e la sigla della Bbc che apriva le trasmissioni europee con la prima battuta della Quinta di Beethoven". Churchill salvò tutto questo.

Anche la libertà di chi, oggi, vorrebbe rimuovere le sue statue.

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