L'architetto a misura d'uomo che però l'Italia snobba

Bontempi ha vinto il prestigioso premio Driehaus. Ma i suoi progetti hanno fortuna soltanto all'estero

L'architetto a misura d'uomo che però l'Italia snobba

«Nemo propheta in patria» è uno dei detti più classici, e Pier Carlo Bontempi, il più classico degli architetti italiani, non poteva certo essere premiato nella sua città. A Parma, che è la città di Bontempi, negli ultimi anni hanno costruito molto ma nessun amministratore gli ha mai chiesto di progettare un palazzo, una fontana, una panchina, niente. Altrimenti come si sarebbe potuto costruire così male? Era indispensabile tenerlo ben lontano se si volevano realizzare i disastri estetici e funzionali della nuova stazione, del mercato della Ghiaia, del ponte Nord, progetti che hanno svuotato le casse del Comune, esposto al pubblico ludibrio le passate amministrazioni e spianato la strada alla vittoria grillina.
Non tutta l'emarginazione viene per nuocere: Bontempi ha frattanto potuto dedicarsi ai suoi cantieri oltreconfine e in particolare a quello di Val d'Europe, in Francia. Nella località a quaranta chilometri da Parigi ha architettato non singoli edifici ma intere piazze, interi isolati, e il risultato è piaciuto talmente tanto che sabato 29 marzo gli assegneranno il prestigioso e molto danaroso (200mila dollari) premio Driehaus. A 7.400 chilometri da Parma e precisamente a Chicago che è la capitale dei premi di architettura: oltre al Driehaus vi ha sede il più noto però meno ricco (100mila dollari) Pritzker. Quest'ultimo è solito onorare architetti amanti degli spigoli e nemici dell'uomo, creatori di edifici inservibili e dispendiosi: da Richard Meier a Kenzo Tange a Zaha Hadid, per citare solo coloro che hanno fatto danni in Italia. Mentre il Driehaus privilegia autori capaci di porsi la domanda posta dal poeta Wendel Berry: «Domandati se quello che fai / potrà soddisfare la donna che è contenta di avere un bambino».

Sono cose che capitano solo in America, sembra che solo negli Usa esistano magnati come Richard Driehaus e come Jay Pritzker capaci di trasformarsi in mecenati finanziando premi che fanno la storia dell'architettura. In Italia, che è solo la terra di Vitruvio e di Palladio, cosa volete che sia, non esiste nulla di simile. Meno male che adesso l'americano Driehaus premia l'italiano Bontempi, primo connazionale di una lista inaugurata da Léon Krier, gran maestro dell'architettura neotradizionale, e proseguita con El-Wakil, architetto egiziano le cui bianche moschee mettono voglia di pregare Allah, non come le chiese volute dalla Cei che la domenica mettono voglia di andarsene al centro commerciale, tanto la differenza è impercettibile e ci si può fare anche la spesa, e poi con Quinlan Terry, Michael Graves...

Parliamo delle sorti dell'architettura e quindi dell'uomo seduti al caffé di Palazzo Dalla Rosa Prati, in piazza del Duomo a Parma a pochi metri dal Battistero testimonianza di un tempo in cui la Chiesa commissionava capolavori al servizio della fede e non dell'apostasia. Bontempi mi racconta che una chiesa l'ha disegnata ma poi non gliel'hanno fatta realizzare. Forse perché somigliava troppo a una chiesa, e non a un hangar come la chiesa di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo, o a una centrale termoelettrica come la chiesa del Volto Santo di Mario Botta. O forse perché il Driehaus 2014 è un cattolico praticante, non un ateo ostinato come il beniamino dei vescovi Massimiliano Fuksas. Gli chiedo a che punto è il Labirinto di Fontanellato, il più grande labirinto del mondo, incredibile parto della fantasia di Franco Maria Ricci. A Bontempi il sublime esteta ha affidato la parte edilizia e ormai siamo in dirittura d'arrivo: «A fine anno il cantiere si chiude, poi resteranno da fare gli allestimenti interni». Fontanellato è provincia ma non comune di Parma, perciò questo lavoro non smentisce il «nemo propheta in patria», senza contare che il labirinto ricciano è luogo dell'immaginario più che del territorio. Tutti gli altri progetti recenti riguardano la Francia, il Canada, la Russia... Ma perché l'Italia non sfrutta la visione architettonica così italiana di Bontempi? Per esterofilia? Perché pretende precisi appoggi politici-critici-mediatici? «In Italia si preferiscono applaudire architetti dallo stile non italiano, come Piano e Fuksas che hanno uno stile globalizzato. Io poi sono incapace di tessere relazioni utili, mi sono sempre affidato esclusivamente alla qualità del mio lavoro». Non è loquace, Bontempi, e sogna di fare una conferenza standosene zitto, mostrando solo immagini «perché gli edifici parlano da soli».

E non è neanche immodesto come ogni archistar deve essere, quando gli chiedo se intende proporsi a Renzi in qualità di consulente per l'annunciato piano scuola, risponde così: «Se Renzi mi interpellasse gli direi di fare un piano Italia, per riqualificare l'architettura di quella che fino alla seconda guerra mondiale era la nazione più bella del mondo, e di affidarlo a Léon Krier».

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