Lettera d'amore all'Italia che non ama più se stessa

Alla riscoperta della vera identità nazionale rinnegata a causa del politicamente corretto e umiliata da istituzioni troppo mediocri

Luca Gallesi

O ggi, gli italiani (o Italiani, come si usava un tempo) si sono arresi, e, rassegnati, sono disposti a ricevere di tutto, dagli schiavi dei nuovi trafficanti di uomini alla droga dei vecchi trafficanti di morte. Bombardati da mail, whatsapp, SMS e twittate, quello che i nostri connazionali non si aspetterebbero mai di ricevere è una lettera vera, addirittura d'amore, come quella che Marcello Veneziani ha appena scritto (Lettera agli italiani, Marsilio), e che sta portando in scena in tutta Italia, in un tour intitolato Serata Italiana. Comizio d'amore. L'autore de La rivoluzione conservatrice in Italia si è rimesso in gioco, cimentandosi nell'impresa di coniugare destra politica e destra culturale, missione forse impossibile. Ormai, però, è l'Italia intera a non volere pensieri, a rifiutare qualsiasi approfondimento, ad accettare «il mutismo delle idee e la disidratazione delle intelligenze». Partendo da un preambolo nel quale gli italiani sono definiti «un popolo di espatrioti», e proseguendo lungo una serie di capitoli dedicati all'«odiologia» degli «italieni», Veneziani denuncia i nostri vizi e stigmatizza i nostri difetti per spingerci a reagire all'indifferenza che sembra pervadere tutto. Stiamo peggio di ieri ma la nostalgia non serve a nulla. In fondo, «l'Italia è in un'agonia perenne: nati tra le rovine di Roma e lo splendore fradicio di Venezia». Il paese invecchia, ma purtroppo non diventa mai adulto, anzi, sembra voler regredire a un'infanzia mitica, dove l'unica responsabilità che vogliamo prenderci è quella di abbandonarci agli altri, uno straniero, un capo, un nemico, un paese diverso. La bellezza dell'Italia, non è affatto «grande» ma «grave»: una bellezza in serio pericolo, aggredita e deturpata dalla pigrizia, dall'ignoranza e dall'indifferenza di tutti noi. Custodi trasandati di uno splendore ereditato per caso, dovremmo reagire, e riappropriarci di quelle radici, quei valori e quella storia che, fino a non molto tempo fa, erano il vero tessuto connettivo del nostro Paese.

La melassa soffocante del politicamente corretto, infine, ha aggravato la situazione, destabilizzando l'ultima realtà autenticamente italiana: la famiglia. Scrive Veneziani: «Uno spirito apocalittico, antimoderno che domina incontrastato in un'Unione Europea incapace di tutto ma solerte nel destrutturare e relativizzare la famiglia, l'unico luogo dell'autenticità, l'unico e ultimo rifugio dove non vali per quello che fai o dai ma per quello che sei». In tutto questo, abbiamo smarrito la bussola che ci ha guidato lungo tutto quel secolo sterminato che fu il Novecento: la politica, «che ha perso i sogni senza rispondere ai bisogni». Soluzioni? Non se ne vedono, o comunque non sono facilmente realizzabili.

Eppure, secondo Veneziani, non dobbiamo arrenderci: nella migliore delle ipotesi - è questa la conclusione della sua lettera - col nostro impegno avremo reso migliore l'Italia, nella peggiore, avremo migliorato noi stessi.

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