Cultura e Spettacoli

L'idolatria delle tasse spopola in libreria

Si moltiplicano pamphlet in favore del prelievo nonostante l'uso disastroso delle risorse sia davanti agli occhi di tutti. Ma la cultura dominante è statalista e contro l'individuo

L'idolatria delle tasse spopola in libreria

Fu nel 2007 che l'allora ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, definì «bellissime» le tasse, suscitando qualche ilarità tra molti contribuenti, ma anche un'ampia adesione nell'opinione pubblica e soprattutto tra gli intellettuali. Se il ministro del secondo governo Prodi aveva fatto ricorso a categorie estetiche, solitamente la difesa del sistema tributario poggia su considerazioni di ordine etico. In questa logica s'inserisce la milanese «giornata della virtù civile», promossa dall'Associazione Giorgio Ambrosoli, e sulla stessa linea d'onda si colloca soprattutto un'ampia e variegata pubblicistica che difende la legittimità del prelievo fiscale italiano.

Ne esiste perfino una versione di taglio confindustriale. Basti pensare al recente pamphlet di Innocenzo Cipolletta ( In Italia paghiamo troppe tasse. Falso! , edito da Laterza), che per anni è stato direttore dell'associazione italiana degli imprenditori e in questo scritto prova a difendere la tesi secondo cui il crollo dell'economia non deriverebbe affatto dall'esorbitante tassazione: da quella massa di denaro che è sottratto ai proprietari per essere messo a disposizione dell'apparato politico-burocratico.

Cipolletta sostiene infatti che in Europa vi sono analoghi «inferni fiscali», per cui la nostra malattia non sarebbe lì, ma nella bassa qualità dei servizi erogati. A ben guardare, però, c'è un nesso tra le due cose, poiché si può affermare che quanto più cresce la collettivizzazione della società, tanto peggiore è l'uso del denaro pubblico che viene fatto e tanto più forte è pure il legame - spesso criminale - che collega Stato e affari privati.

Certo c'è qualcosa di sorprendente nel fatto che raffinati intellettuali, i quali si dichiarano amanti della libertà e mai accetterebbero (e a ragione!) di essere obbligati con la forza a leggere anche solo una pagina di un pensatore edificante, giudichino invece legittimo che alcuni soggetti in posizione di potere possano disporre di più della metà di quanto viene prodotto. Eppure questa seconda coercizione è assai più gravosa. Senza scordare che essa non costringe a leggere qualche buon filosofo, ma una quantità di stupidi moduli e noiose istruzioni. Oltre al danno della perdita dei soldi, anche la beffa di una sottrazione massiccia di tempo e serenità.

È chiaro che l'apologetica del fiscalismo si basa sull'idea che - a dispetto di quanto ci mostra la cronaca - lo Stato sia altruismo, comunità, giustizia sociale. Così se per i giacobini la ghigliottina era «uno strumento d'amore» (come recitava una canzone dell'epoca), per i moderni Robespierre innamorati delle tasse quanti ci rapinano in virtù di leggi e regolamenti lo fanno «per il nostro bene». In un libro dal titolo 101 modi per evadere le tasse: tecniche, furbizie, scappatoie e stratagemmi degli italiani (curato dall'Associazione per il Riformismo e la Solidarietà, edito da Malatempora) il rovesciamento è completo: aggressore è chi cerca di evitare di essere spogliato, e non già chi dispone del monopolio della violenza e l'utilizza per espandere il proprio controllo sulla società.

Nel mondo cattolico le posizioni sono variegate: c'è chi - come Giovanni Cereti ( Pagare le tasse. Solidarietà e condivisione , edito da Cittadella) - prima afferma che «pagare le tasse deve essere una gioia» e arriva però alla conclusione che sotto regimi asfissianti che minano la società il cattolico non ha alcun obbligo di fedeltà; e vi è invece chi - come Enrico Chiavacci ( Lezioni brevi di etica sociale , stesso editore) - contesta con forza chi nel prelievo fiscale vede una violazione del diritto di disporre liberamente delle proprie cose.

Non sorprende, comunque, che a interpretare le posizione più estreme siano ex-magistrati. Basta leggere quanto ha scritto il presidente emerito della Corte costituzionale Franco Gallo, che ne Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione ( il Mulino) recupera varie tesi delle filosofie a vocazione egualitaria e redistributrice. Ma posizioni ancor più radicali sono quelle di Bruno Tinti ( La rivoluzione delle tasse , edito da Chiarelettere), che interpreta le posizioni più stataliste e intransigenti. Non soltanto egli chiede la massima repressione ai danni di quanti provano a sottrarsi alle fauci del Moloch, ma ritiene pure che il sistema tributario attuale, che a suo parere non sottrae abbastanza risorse, si baserebbe su un'alleanza criminale tra un settore privato egoista e un settore pubblico complice e corrotto.

Leggere anche solo alcuni tra i molti testi scritti in difesa della tassazione italiana aiuta a cogliere una cosa: e cioè che lo sfacelo in cui ci troviamo non è solo la conseguenza del lobbismo dei gruppi di interesse, del cinismo della classe politica, della spregiudicatezza del nostro apparato burocratico.

Il disastro è che figlio di una cultura che in sostanza esalta lo Stato e la coercizione pubblica, e che tende a bollare come egoista e asociale ogni richiesta di libertà e ogni difesa dell'autonomia dei singoli e dei gruppi.

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