Glenn Cooper: "Mi sono messo anch’io alla ricerca del Graal"

Nel "Calice della vita" il bestsellerista fa un tuffo nel passato

Glenn Cooper: "Mi sono messo anch’io alla ricerca del Graal"

La storia della ricerca del Santo Graal ha prodotto decine e decine di saggi, romanzi d'avventura e thriller di successo. E che fosse un argomento con cui si sarebbe divertito prima o poi a misurarsi il narratore americano Glenn Cooper i suoi fans lo sospettavano ormai da tempo, dopo aver seguito il suo fortunatissimo ciclo della «Biblioteca dei morti», ma anche i successivi La mappa del destino e Il marchio del diavolo (tutti editi da Nord). Un libro speciale è alla base delle suggestioni del thriller Il calice della vita (Nord, pagg. 409, euro 19,60, traduzione di R. Zuppet). Si tratta de La morte di Artù di Thomas Malory (1405/16-1471) da cui Cooper ha preso spunto.

Qual è stato il suo approccio al Graal?
«Un mio amico mi ha regalato una bellissima copia della Morte di Artù di Malory illustrata da Aubrey Beardsley con disegni molto romantici dedicati alle gesta di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. L'avevo letto con entusiasmo da giovane. Ritrovandomi davanti quel prezioso volume ho pensato di scrivere una mia versione della ricerca del Sacro Graal».

Che immagine si è fatto di quell'oggetto sacro?
«Io mi immagino il Graal come un oggetto fisico, un manufatto. È una visione più romantica di quell'oggetto, rispetto all'idea di rappresentarlo come l'utero di una donna, come ha fatto Dan Brown. Al di là dell'opinione che uno possa avere della religione, ci sono tre cose evidenti: Gesù Cristo era un uomo ed è vissuto, è stato giustiziato dai Romani e ha celebrato l'Ultima Cena. Per farlo ha usato sicuramente un calice. Può essere stata una coppa, una tazza o un bicchiere. Al di là della forma che aveva, quel calice era il Graal ed è esistito veramente. Dove poi sia finito nessuno probabilmente riuscirà mai a scoprirlo. Il Graal ha rappresentato poi nel tempo la metafora della ricerca dell'uomo per la conoscenza e la verità».

Chi era Thomas Malory?
«È stato anzitutto un cavaliere. Un soldato professionista. Un uomo di nobili origini. Durante la sua campagna militare in Francia si è imbattuto per la prima volta nei testi classici francesi che trattavano della ricerca del Graal che risalivano al 1100. Nonostante la sua educazione, Malory fu accusato di crimini terribili come lo stupro. Passò più di vent'anni in prigione per questo motivo. E durante la detenzione, oltre a cercare di difendersi dalle accuse, decise di scrivere una storia di Artù dal suo punto di vista».

C'è una formula particolare che applica nei suoi romanzi?
«Uso il genere thriller per analizzare un tema che è molto più interessante della semplice storia d'azione che racconto. In tutti i miei libri cerco di sviluppare un'idea portante.

In La biblioteca dei morti parlavo di destino e predestinazione, in L'ultimo giorno della vita dopo la morte, in Il marchio del diavolo della natura del male. E nel Calice della vita analizzo l'interfaccia fra la scienza e la religione che in realtà sono la stessa cosa, ma con due punti di vista diversi».

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