L'ossessione tutta italiana per il Nord

Gli ultimi tedeschi che scesero in Italia per studiarne l'arte e il paesaggio ne erano talmente innamorati da venir definiti «tedeschi-romani». In tutti i sensi. Imbevuti del mito classico, dall'ellenismo a Raffaello, persi tra le frasche della campagna romana come antichi fauni, sposavano volentieri bellissime italiane e le ritraevano, per anni. Così Arnold Boecklin, così Anselm Feuerbach, così Max Klinger.
Arnold Boecklin morì in Italia, nella Fiesole che aveva eletto a sua definitiva dimora. Era nato a Basilea nel 1827 e aveva intrapreso il tradizionale grand-tour al sud dietro suggerimento di Jacob Burchkardt. Max Klinger lo seguì, di lì a qualche anno: allestì addirittura uno studio a Roma, di fronte al Colosseo. Allora poco conosciuto, sarebbe stato scoperto, con Boecklin, dal giovane Giorgio De Chirico, che da Monaco di Baviera li restituì all'Italia. Convergenza curiosa: i due tedeschi mentori del paese dove fiorivano i limoni, dove la storia continua sommessamente a esistere in ogni anfratto, senza distinzioni tra mito e realtà, si trovano oggetto di una vera rivelazione, a opera di un giovane studente italiano nato in Grecia che studia in Germania. L'Italia di Boecklin e di Max Klinger è un regno intatto in cui la conoscenza delle arti si unisce all'illusione della loro eternità. E se Boecklin dà uno sfondo italiano al suo dipinto più celebre, quell'Isola dei morti che, riprodotto in cinque repliche, divenne uno dei simboli assoluti della pittura moderna, Klinger incominciò a Roma il dipinto suo più complesso, Cristo in Olimpo, sintesi di epoche, religioni, civiltà.
Spesso fraintesi, mal sopportati da molti italiani, sia artisti che critici, i pittori del nord cominciarono ad apparire in Italia nello stesso anno della prima Biennale di Venezia, 1895. Nel 1899 compaiono opere di Hodler e Khnopff; nel 1910 si apre la sontuosa retrospettiva di Gustav Klimt; anno dopo anno si svela il Klinger più prezioso delle storie incise. La stupefacente Sala del Sogno - 1907 - accoglie insieme Plinio Nomellini e Franz von Stuck, il bolognese Mario de Maria accanto ad austriaci e norvegesi.
Fu Vittorio Pica a definire «ossessione nordica» l'attrazione che gli artisti italiani mostrarono verso questo mondo, «appalesandosi profondamente influenzati dall'arte nordica». È il tema della mostra L'Ossessione nordica. Boecklin, Klimt, Munch e la pittura italiana aperta a Rovigo (Palazzo Roverella, a cura di Giandomenico Romanelli, fino al 22 giugno).

Gli artisti del nord porgevano agli italiani una versione riveduta e corretta del mondo che questi, possedendolo come inutile retaggio, non potevano che ritenere vecchio e consunto. Silenzi e malinconie, sospensioni e sospiri, temi che da secoli gli italiani di tutte le scuole trattavano, riscoprono un patrimonio che è in primo luogo il loro, in tutti i sensi.

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