Esce mercoledì 17 settembre L'Italia che vorrei (Marsilio, pagg. 176, euro 14), sottotitolo Il manifesto civile dell'uomo che fa i libri , un saggio-intervista che Stefano Lorenzetto ha dedicato a Fabio Franceschi. L'imprenditore padovano serve oltre 200 delle maggiori case editrici del mondo ed è l'unico in grado di stampare, rilegare e consegnare un volume in meno di 24 ore, copertina inclusa. Nel volume, Franceschi compie un'analisi impietosa dei mali nazionali e detta la sua personale ricetta per curarli. Con una sola medicina: il buonsenso. Per gentile concessione di Marsilio, pubblichiamo alcuni stralci dell'introduzione di Lorenzetto.
L'uomo che fa i libri ha cominciato a lavorare come tipografo a 4 anni, sotto il tavolo di cucina. Il padre Rino e lo zio Sergio gli davano le righe metalliche difettose uscite dalla linotype, quelle che presentavano una sbavatura, e gli insegnavano come rifilarle con una spazzolina di ferro, unico modo per poter farle entrare allineate nel telaio della pagina da stampare.
La compositrice, un mostro antidiluviano che sbuffava vapori tossici di piombo, antimonio e stagno per non meno di 18-20 ore al giorno, era collocata in una stanzetta attigua alla camera dove l'apprendista tipografo fino ai 6 anni dormì in un lettino a fianco del talamo dei genitori, cullato dal frastuono delle matrici dei caratteri fatte cadere una di seguito all'altra dal tastierista. (...) Fornello, credenza e secchiaio occupavano un'altra mezza stanza, direttamente comunicante con il cesso, che misurava 70 centimetri per 90. Casa e bottega. Tutto qui. Nient'altro. (...)
Fino a cinque anni fa, non sapevo nulla di Fabio Franceschi, l'uomo che fa i libri, nonostante dal 2000 ne avesse stampati già sette firmati da me per Marsilio. Fu proprio il mio editore, Cesare De Michelis, a parlarmene per primo: «Dovresti conoscere il proprietario della Grafica Veneta. Sarebbe il candidato ideale per la tua serie Tipi italiani sul Giornale». Vittorio Feltri, tornato da un paio di settimane a dirigere per la seconda volta il quotidiano della famiglia Berlusconi, pochi giorni prima mi aveva raccomandato di seguire con particolare attenzione i personaggi emergenti del Triveneto, un bacino di lettura che gli è sempre stato molto a cuore. Quale miglior occasione? (...)
Una settimana dopo il nostro incontro comparve dunque sul Giornale la paginata dell'intervista con Franceschi. Feltri decise di annunciarla con una locandina, che fu mandata nelle sole edicole della provincia di residenza dell'intervistato, dove venne ovviamente rinforzata la distribuzione. E qui accadde un fatto strano, addirittura inspiegabile secondo Gianni Di Giore, all'epoca direttore generale del quotidiano milanese: 900 copie in più di venduto. Che, tenuto conto dell'ordinaria diffusione della testata nel Padovano, erano da considerarsi un dato stratosferico. Lì mi si accese una spia rossa. Perché tanto interesse per l'uomo che fa i libri, i quali sono prodotti elitari per eccellenza? Perché la sua storia aveva avuto tanta presa sul grande pubblico?
Trascorsero alcuni anni. Mi limitavo a tenere d'occhio le uscite di Franceschi soprattutto in ambito confindustriale, trovandole sempre pertinenti. Si esprimeva sui temi cruciali in modo efficace, senza inutili perifrasi o curiali cautele. In sintesi, parlava chiaro. Una sera, capitato per caso su Rai 3, riconobbi il suo volto fra gli ospiti di Ballarò convocati dal conduttore Giovanni Floris. Mi parve l'unico a proprio agio, e soprattutto sicuro del fatto suo, in mezzo ai cinque o sei perdigiorno acculati sui troni di cartone. Incuriosito più che mai, stetti ad ascoltarlo. Sentivo parlare il buonsenso dei miei padri. (...) Finché Franceschi non proruppe in un appello che mi lasciò basito: «Il governo dovrebbe alzare le tasse a me, che posso pagarle, e abbassarle invece ai miei dipendenti, che non arrivano a fine mese». Un italiano che esigeva di pagare più imposte! E lo pretendeva a fin di bene! (...) Ne rimasi talmente colpito che qualche tempo dopo mi permisi di suggerire al mio amico Bruno Vespa d'invitare alla prima occasione Franceschi a Porta a porta. Porta che trovai non aperta: spalancata. E anche lì, seduto sulle candide poltrone di quella che passa per essere la terza Camera, l'uomo che fa i libri non deluse le mie aspettative. Andava dritto al nocciolo delle cose. Sapeva unire la produttività all'umanesimo, l'idealità al pragmatismo. Parlava alla mente non meno che al cuore. (...)
L'indomani sentii il bisogno di cercarlo per metterlo a parte di queste mie impressioni e per congratularmi. Fu lieto di sentirmi. E, senza rendersi conto che mi stava dando una notizia, alla fine della conversazione buttò lì: «Mi ha appena telefonato monsignor Liberio Andreatta, amministratore delegato dell'Opera romana pellegrinaggi. Mi ha riferito che i miei discorsi a Porta a porta a favore dei ceti più deboli sono molto piaciuti oltre le mura leonine...». Un impegno di riservatezza m'impedisce di aggiungere altro. Ma fu a quel punto che la spia rossa, accesasi anni prima, nella mia mente cominciò a lampeggiare senza sosta. Se l'uomo che fa i libri aveva suscitato interesse persino nella Città del Vaticano, governata dall'autorità morale più importante del pianeta, forse era venuto il momento di andare oltre le 13.500 battute che gli avevo dedicato sul Giornale e di farlo conoscere a una platea più vasta. E come, se non con un libro?
Perciò tornai a trovarlo. Di fuori, la sede della Grafica Veneta sembrava quella di sempre. Ma nella foto aerea appesa a una parete dell'ufficio di rappresentanza aveva cambiato completamente aspetto: sembrava un'immensa cella solare. «Per l'esattezza sono 39.000 pannelli fotovoltaici, per un totale di 100.000 metri quadrati, pari a un terzo della superficie totale del nostro insediamento», mi spiegò Franceschi. «L'equivalente di 20 campi di calcio». (...) Voi dovete immaginare una tipografia in cui rotative, rilegatrici, cucitrici, brossuratrici, incassatrici, fustellatrici e altri macchinari, nonché impianti di condizionamento dell'aria, illuminazione, ascensori, computer, monitor, scanner, stampanti, aspiratori, frigoriferi, in una parola tutte le cose che abbisognano di energia, continuerebbero a funzionare regolarmente all'infinito e in modo pulito, senza emissioni nocive di alcun tipo, anche nella malaugurata ipotesi in cui dovessero smettere di esistere le centrali nucleari, idroelettriche, a carbone, a petrolio e a gas. All'uomo che fa i libri basta la luce del sole, che è gratuita, per mantenere funzionanti 24 ore su 24 la fabbrica e gli uffici.
Al che viene spontaneo domandarsi: ma se chist'è 'o paese d' 'o sole, come mai i nostri politici non hanno fatto in modo che s'installassero obbligatoriamente impianti analoghi non dico sui tetti delle case nei centri storici di Firenze o Venezia, ma almeno sui falansteri dei quartieri Zen di Palermo progettati da quel genio dell'architetto Vittorio Gregotti, sui palazzoni Iacp del Corviale e sui dormitori di Tor Bella Monaca, del Laurentino e di Grottaperfetta a Roma, e più in generale su ogni altro insediamento di edilizia economico-popolare, e sulle villette a schiera tirate su in ogni dove da legioni di geometri fin troppo solerti? Perché l'Italia continua a pagare l'energia elettrica più cara (con punte fra il 30 e il 43 per cento) di qualsiasi altro Paese d'Europa, eccettuata l'isola di Cipro? Perché la nostra dipendenza dall'estero supera l'80 per cento del consumo interno lordo di prodotti energetici? (...)
P.S. Quando ho proposto a Franceschi di ricavare un libro dalle nostre conversazioni, è rimasto per un attimo in silenzio. Poi ha esalato: «Sì, a condizione che l'intero ricavato vada in beneficenza, al Cuamm». L'acronimo sta per Collegio universitario aspiranti medici missionari. Fu fondato nel 1950 a Padova per iniziativa del vescovo cappuccino Girolamo Bortignon e del medico vicentino Francesco Canova, che prestò a lungo la propria opera come volontario in Palestina e in Africa. Lì, nel Continente nero, Franceschi sta facendo molti ottimi affari (...). Solo che li fa a modo suo, più come partner di progetti umanitari che come imprenditore dedito solo al business. Ogni suo contratto commerciale, per esempio, tiene conto della percentuale di analfabeti, di donne, di vecchi e di bambini presenti nel Paese dove approda. È contento se gli offrono da stampare gli elenchi telefonici per l'Etiopia, ma ancor di più se riesce a piazzare un'enciclopedia medica in Angola. «Del libro che lei scriverà, venderemo 500.000 copie», s'è infervorato. Gli ho chiesto se per caso avesse preso un colpo di sole durante il suo ultimo viaggio ad Addis Abeba.
Ha replicato: «Scommettiamo? Guardi che con i numeri di solito ci azzecco. Mettiamola così: se arriveremo a 500.000 copie, lei lavorerà gratis alla Grafica Veneta per un anno». Non ho avuto il coraggio di accettare. Ci tengo al mio mestiere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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