A Mantova i migliori ma non al Festival

A Mantova i migliori ma non al Festival

nostro inviato a Mantova

Viktor Erofeev è uno scrittore e giornalista russo, già espulso, prima della dissoluzione dell'Urss, dall'Unione degli Scrittori Sovietici per la sua vicinanza ai dissidenti, e poi dissidente egli stesso nella Russia di Putin. Gore Vidal, scomparso la scorsa estate, è stato uno scrittore americano, forse più innamorato dell'Italia che dell'America, di immensa eleganza e anticonformista militante. Edwin Honig, mancato nel 2011, fu invece un poeta laureato, critico letterario e traduttore, fra gli altri, di García Lorca, Calderón de la Barca e Pessoa, una mente brillantissima, tanto poco conosciuto da noi quanto protagonista di una vita culturale straordinaria. E Ali Ahmad Sa'id Isbir, che il mondo conosce come Adonis, cresciuto in un villaggio nel nord della Siria, è uno dei più affermati poeti della sua generazione, e non solo nei Paesi Arabi, eterno candidato al Nobel.
Sono probabilmente gli ospiti - in absentia - più interessanti che il festival porta a Mantova, fantasmi di carta e divi in celluloide, protagonisti del ciclo di documentari su letteratura e scrittori che scandisce, a proiezioni ripetute nel piccolo cinema Oberdan, i cinque giorni della kermesse, «fotogrammi» d'autore per pochi cacciatori di rarità a margine degli incontri di piazza «che non si possono non vedere». L'élite e il mainstream.
Gli otto documentari in calendario, tutte anteprime in Italia, raccontano autori culto, come appunto i Russian libertine incontrati dal finlandese Ari Matikainen o Gore Vidal (il documentario di Nicholas D. Wrathall, sottotitolo The United States of Amnesia, che si avvale di una gigantesca mole di materiale inedito, fra cui testimonianze di David Mamet, Norman Mailer e Mikhail Gorbachev, un monumento allo scrittore-icona che di sé dice: «Non ho mai perso un'occasione per fare sesso o per apparire in tv» e «Lo stile è sapere chi sei, cosa vuoi e fregarsene del resto»), ma anche di miti letterari, come Shakespeare («Uno dei titoli più folli è The Hidden Truth, “la verità nascosta” sul poeta inglese - anticipa Stefano Campanoni, di CineAgenzia, che organizza l'evento -, dove uno studioso autodidatta norvegese, Petter Amundsen, tenta di dimostrare che a scrivere i testi di Shakespeare fu Francis Bacon e che nella prima edizione delle sue opere ci sono indizi, lasciati dai Rosacroce, su un tesoro nascosto...»).

Oppure svelano il «lato oscuro» di grandi imprese culturali, come fa - ed è il titolo più scorretto - Google and the World Brain dell'inglese Ben Lewis, documentario-denuncia sui rischi e gli «interessi» nascosti che stanno dietro il progetto di digitalizzazione di ogni testo stampato al mondo avviato da tempo dalla nota corporation. La realizzazione tecnologica di un antico sogno, per molti. Un gigantesco furto su scala globale, per altri.

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