Meglio la pollastra Kinsella che le galline dello Strega

La regina della "narrativa per ragazze" è una Jane Austen in versione pop. In "Wedding Night" rivede "I Promessi Sposi" in forma di esilarante commedia

Non è letteratura «alta», quella che cambia la storia della letteratura, ma se è per questo non la cambiano neppure Saramago e Murakami, casomai la portano indietro. Sarà chick-lit, narrativa per pollastrelle, così la chiamano, il filone da Bridget Jones in poi, fino all'epica televisiva delle eroine di Sex and The City e Desperate Housewives, ma in ogni caso: Sophie Kinsella è veramente brava, qui lo dico e qui non lo nego, anzi.

Non solo più brava di altre autrici di narrativa sentimentalistica per signore, ma molto più avanguardista, molto più artista, di tutti i tromboni e le trombette a cui in Italia conferiscono pomposissimi premi letterari, ultimo il meraviglioso Premio Campiello dato a un autore morto, non si sono accorti della differenza.

Magari si vedessero chick al livello della Kinsella, lì al cimitero Ninfeo di Valle Giulia, casomai c'è ampia scelta di shit-lit unisex di provinciali tristi e passatisti: scorretevi la lista di chi riceve riconoscimenti funebri da anni e confrontateli con Sophie anche sul piano della brillantezza narrativa, dello stile, della lingua. Sicuramente l'epigona migliore è Chiara Gamberale, però più giovanilista e destrutturata, distante dalla tradizione romanzesca da cui proviene la Kinsella, che c'è e si vede. Sophie è una Patricia Cornwell del thriller del cuore, rimato con amore solo per teatralizzarne i cliché.

Tra le nostre chick c'è Federica Bosco, una Moccia rosa per signore, e ci sarebbero Guia Soncini o la sua versione trash Selvaggia Lucarelli, le quali però sono opinioniste da compitini giornalistici e autrici di libri gossip usa e getta, incapaci della necessaria disciplina del romanzo: comunque non è colpa loro, non sono scrittrici.

Ci fu Carmen Covito, lanciata da Aldo Busi, e sparita troppo presto, perché la condizione di questo genere di narrativa è avere successo, non puoi fare chick-lit nell'insuccesso, l'insuccesso conta solo se sei Kafka o Leopardi. Come contraltare abbiamo poi tante prefiche e pre-fiche della narrativa femminista piagnucolosa, tipo Michela Murgia e altre facsimili non sarde con la stessa fissa della politica e del parlare alla gente dei problemi della gente.

Invece Sophie Kinsella è una Jane Austen pop, scintillante e senza pretese, e per questo con risultati superiori alla sua stessa mancanza di pretese. Con un senso del comico e un raffinato umorismo british (in ogni caso fin troppo wit per essere letta da Beppe Severgnini) e da non confondere, per le tematiche, con i giocattolini giapponesi di Banana Yoshimoto. Il suo ultimo romanzo, intitolato Wedding Night, la notte di nozze (e purtroppo tradotto da Mondadori con un brutto Fermate gli sposi!, come se fosse un pamphlet di Barbara Alberti), è un nuovo Promessi Sposi in forma di commedia, un'esilarante storia all'insegna del «questo matrimonio non s'ha da fare», un Alessandro Manzoni con David Letterman al posto della Provvidenza.

Al posto di Don Rodrigo una donna in carriera, Fliss, impegnata a impedire a ogni costo, per eccesso di premura fraterna, la prima copula della sorella Lottie con il marito appena sposato. In un susseguirsi di sabotaggi e gag e situazioni paradossali, tra dialoghi frenetici e batticuori a narrazioni alternate: una volta dal punto di vista di Fliss, una volta dal punto di vista di Lottie.

Non ha senso dilungarsi sulla trama, leggetela, godetevela e vedete come va a finire, io sono convinto che come è piaciuta a me sarebbe piaciuta a Balzac o a Dickens.

Mentre ha senso ragionare su quanto, al confronto, la letteratura impegnata (da noi per statuto politicamente impegnata, mai impegnata a fare letteratura) scada sempre più nel feuilleton pseudo-rivoluzionario, sia infognata nella retorica del provincialismo pasoliniano fuori tempo massimo, nel romanzo a tesi sulla crisi economica, in accigliate prediche sulla società di oggi: un Carofiglio di qua, un Saviano di là, il salotto di Fazio nel mezzo, nel quale è riverito scrittore perfino Eugenio Scalfari.

Insomma, leggete Wedding Night e confrontatelo alla noia degli zombi da Ninfeo come Emanuele Trevi, Edoardo Nesi e al Walter Siti già tumulato nello Strega con il suo romanzo più sociale e lagnoso.

Pensate a quanto poco raccontino l'uomo i loro romanzi esangui e spompati, e quanto invece la Kinsella svisceri l'umanità comune attraverso la donna e l'arte di giostrare le nostre farse sentimentali, a partire da tutti i suoi I love shopping amorosi e meravigliosamente consumistici. Credetemi, queste nostre riverite mummie a Sophie Kinsella non legano neppure le scarpe di Jimmy Choo: con le loro operine di retroguardia postmarxista al massimo gliele impolverano.

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