Cultura e Spettacoli

"Le menzogne sulla Storia? Ci fanno sentire rassicurati"

Cercas racconta le vicende di un impostore che si finse per anni superstite dei lager. Un grande libro sul rapporto tra mistificazione e verità nella memoria collettiva

"Le menzogne sulla Storia? Ci fanno sentire rassicurati"

da Mantova

Persino quando ha accettato di collaborare con Javier Cercas per scrivere la verità su di sé, Enric Marco si è lasciato andare a qualche menzogna. L'impostore (Guanda, pagg. 406, euro 20), appena uscito in Italia, è l'ultimo romanzo dello scrittore catalano autore de Soldati di Salamina e racconta appunto la storia «vera» di questo mentitore professionista. Marco, oggi novantenne, rifece il trucco alla sua vita quando ancora il costruirsi un alter ego era un'operazione più simile a quella delle spie internazionali che dell'uomo comune che si crea un falso profilo Facebook. Secondo il curriculum che si era inventato, era stato combattente antifascista, oppositore della dittatura di Franco, deportato nel campo di concentramento di Flossenbuerg e quindi, a ottant'anni suonati, detentore della carica di presidente degli Amical de Mauthausen, la più importante associazione spagnola di sopravvissuti ai campi nazisti. Ma il super partigiano era un super ciarlatano e lo scandalo lo colpì appena prima che pronunciasse, appunto a Mathausen, il discorso per i 60 anni dalla Liberazione. Lo studioso che lo smascherò riuscì a dimostrare che non si era cucito addosso solo il campo, ma tutta la Resistenza. Tuttavia è il libro di Cercas (al Festivaletteratura di Mantova domani, ore 18.30 e domenica, ore 15) che, con l'aiuto di questo narciso istrione, demolisce il falso mito frase per frase, icona per icona, in modo così «umano» che immedesimarsi in Marco è un attimo e altrettanto facile infuriarsi con se stessi subito dopo.

Può provare in poche parole a descrivere Enric Marco a chi non lo conosce?

«È una bugia che cammina. Un uomo che ha fatto della sua vita un plagio, dal principio alla fine e che ha continuato per anni a ingannare tutto il mondo. Mario Vargas Llosa lo ha chiamato il più grande impostore della storia e credo abbia ragione».

È un personaggio che ama o che odia?

«Né uno né l'altro. Ho cercato di capirlo - non di giustificarlo - e di presentare il suo caso in tutta la sua infinita complessità. È questo il dovere dello scrittore, verso i suoi personaggi, reali o immaginari che siano».

A chi si è ispirato?

«A nessuno. Marco è così reale che questo è un “romanzo senza finzione”. E lo è perché Marco stesso è una finzione. Sarebbe stato ridondante, e anche letterariamente irrilevante, scrivere una fiction su una fiction. Ho scritto un “racconto reale”, un romanzo in cui verità e menzogna, finzione e realtà combattono un duello mortale».

C'è mai un alibi valido per la menzogna?

«Supponiamo che lei venga a casa mia e mi racconti che un assassino la perseguita. Supponiamo che io le dia asilo. Supponiamo che l'assassino bussi alla mia porta e mi chieda se lei si trova da me. Ecco, in questo caso io ho il diritto - fors'anche il dovere - di mentire. L'esempio è di Benjamin Constant, ma il costrutto famoso è di Kant, che diceva che nemmeno in questo caso si ha diritto a mentire. Nessuno è perfetto».

L'impostore sembra anche un romanzo sui ricordi, sulla memoria. C'è un filo rosso con Soldati di Salamina.

«È come se fosse il negativo di Soldati di Salamina . Soldati parla della necessità di disseppellire il passato repubblicano e assumerlo come proprio. L'impostore della necessità di dissotterrarlo bene, nel modo giusto, di non falsificarlo falsificando noi stessi. Soldati parla di un vero eroe, che dice: No, non me ne vanterò mai. L'impostore di un falso eroe, che si vanta di aver detto No».

Con i suoi romanzi traccia una storia della Spagna del Novecento. Ma a volte sembra quasi che per lei sia più importante usare questa Storia per fondare le basi di una «memoria consapevole».

«Partendo dal presupposto che i miei romanzi non trattano di questioni locali, ma universali, come qualsiasi letteratura degna di questo nome, è vero che a volte racconto una specie di storia alternativa del mio paese. Ma non si tratta di un progetto cosciente, premeditato. Semplicemente mi è accaduto a un tratto di comprendere che il passato è una dimensione senza la quale il presente risulta incomprensibile, che la collettività è una dimensione senza la quale l'individuo risulta indecifrabile. E a proposito della memoria consapevole, è vero soprattutto per L'impostore che vuole contenere tutto il bene e tutto il male della memoria. Le sue trappole, i suoi miraggi. Le sue fragilità e il suo potere ricattatorio».

Il dolore di una vittima potrà mai trovare consolazione nelle giustificazioni di un carnefice?

«No, impossibile. E per questo le vittime non sono obbligate ad ascoltare i boia. Però noi sì. Perché è l'unica forma efficace di lotta contro di loro. Proprio se non siamo vittime dobbiamo dare ai carnefici la nostra attenzione. Anche se è dura».

Quante sono oggi in Spagna o anche in Europa le persone come Enric Marco?

«Non lo so. Però scrivendo il libro ho scoperto una cosa: agli esseri umani la verità non piace, specie se si tratta di verità come quelle sul nazismo o sul franchismo. Ci piacciono le menzogne. Il mondo ha creduto a Marco perché diceva quello che vogliamo sentire. Bugie. Bugie romantiche, sdolcinate, manichee, edulcorate e tranquillizzanti.

Come tutte le bugie».

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