Meret Oppenheim, la vita come opera d'arte di una surrealista

Meret Oppenheim, la vita come opera d'arte di una surrealista

Lasciò Max Ernst su due piedi. Di lei s'innamorò Duchamp che le scriveva veloci petit bleu via posta pneumatica, sms primordiali. Giacometti fu preso dalla sua verve , insegnandole i primi rudimenti della scultura. Man Ray, cercando di sedurla, la fotografò nuda nel suo più celebre ritratto. Breton le rimase amico per tutta la vita. Bellissima, appassionata, piena di energia quando arrivò a Parigi nella primavera del '32 appena diciottenne - «i capelli tagliati cortissimi à la garçonne e tirati all'indietro, i grandi occhi di un verde chiaro cangiante, le labbra perfettamente disegnate, gli zigomi alti e il profilo straordinariamente regolare, da statua classica» - era destinata a diventare, da subito, un'icona. Già nel 1933, partecipa alla sesta edizione del Salon des Surindépendants, la sua prima mostra in assoluto, insieme ad Arp, Dalì, Ernst, Giacometti, Magritte, Mirò, Man Ray, Tanguy e Kandinsky. Non male per una novizia.

Meret Oppenheim in pochi mesi sconvolge come una furia iconoclasta il pur rissoso contesto surrealista, quella schiatta di grandi artisti che fanno circolo al Caffè de la Place Blanche: loro litigano per l'arte, per il comunismo, si dilaniano inventando riviste e contro riviste, si processano l'un l'altro nel più puro stile stalinista. Resta memorabile quando Dalì per discolparsi di posizioni filo naziste, era «ossessionato dalla schiena tenera e grassoccia» del Führer, si presentò davanti a Breton in pigiama col termometro in bocca, esibendosi in un frettoloso strip-tease per poi inginocchiarsi ai suoi piedi e dirgli: «Ogni notte sogno di inc...». L'irritazione del capo del Surrealismo toccò il culmine. Gli altri membri del gruppo, invece, si mostrarono divertiti da quell'inattesa performance...

In ogni caso, Meret ha una sua strada da percorrere, che comprende il successo, ma anche la depressione, un matrimonio sui generis con Wolfgang La Roche, molte amicizie celebri, fino alla morte, nel 1985. Nel '36, per una kermesse alla galleria Charles Ratton, espone quella che resterà la sua opera più celebre: acquista in un supermercato una tazza da tè completa di piatto e cucchiaino e li riveste accuratamente con uno scampolo di pelo di bionda gazzella cinese. L'oggetto, paradigmatico esempio di ironia surrealista, viene ribattezzato da Breton, entusiasta, Colazione in pelliccia , parafrasando in un solo titolo la Colazione sull'erba di Manet e il romanzo Venere in pelliccia di von Sacher-Masoch, molto apprezzato dai surrealisti. L'oggetto viene acquistato per 50 dollari dal giovane direttore del Moma di New York per la collezione del neonato museo.

Il resto è storia, raccontata con maestria da Martina Corgnati in Meret Oppenheim. Afferrare la vita per la coda (Johan&Levi, pagg.

540, euro 35; il libro viene presentato oggi alle ore 18.30 alla GAM di Milano, in via Palestro 16): un volume denso di citazioni e rimandi, che collocano l'intensa biografia dell'artista svizzera nel più ampio panorama dell'arte novecentesca.

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