Controcultura

"Il mio Orso come Ulisse. È sempre in fuga ma per tornare a casa"

I romanzi in forma di favola di Paola Mastrocola non sono mai solo storie per passare il tempo: sono piccole luci che indicano una trasformazione possibile e ognuno di noi sa la sua.

"Il mio Orso come Ulisse. È sempre in fuga ma per tornare a casa"

I romanzi in forma di favola di Paola Mastrocola non sono mai solo storie per passare il tempo: sono piccole luci che indicano una trasformazione possibile e ognuno di noi sa la sua. Anche in Se tu fossi vero. Storia dell'orso che scappa (Guanda, pagg. 216, euro 15), come in Diario di una talpa (sempre Guanda), il protagonista è un animale: se la talpa era l'incarnazione della nostra voglia e ansia di rintanarci durante il lockdown, qui Orso - che si ispira a M49, l'imprendibile esemplare trentino - è maestro dell'arte della fuga. Fuga come ricerca, alla fine, di una promessa di verità. Illustrato dai deliziosi disegni dell'autrice, il libro narra l'amicizia tra Orso e Milco, un bambino: di come nasce, si trasforma e sopravvive alle insospettabili sfide della vita.


Chi sono Orso e Milco?


«Orso era un piccolo peluche che fu regalato dai genitori al bambino Milco. Lui voleva tanto un orso, ma non aveva specificato che lo voleva vero, quindi è molto deluso dal suo amico. Allora il piccolo orsetto si stufa e fa il sacrificio più grande della sua vita: va dal Mago e diventa vivo. Come peluche era eterno: ora invece gli toccano vecchiaia, fame, fatica, prigione, inganni, derisione. È la storia di Ulisse: quando Calipso gli offre l'immortalità, la rifiuta. Perché vuole tornare da Penelope. La vita di Orso è tutta una fuga, ma l'amicizia con Milco sopravvive».


Se fuggire è il progetto, questa è una favola disimpegnata?


«Fuggire non vuol dire essere vigliacchi o rifiutare il fatidico impegno. Vuol dire spostarsi su un altro piano: ad esempio, fuggire dal potere. La fuga per eccellenza è l'arte, ma ormai siamo abituati a musicisti, scrittori, poeti che entrano pesantemente nel dibattito pubblico. È una loro scelta, ma non sono i migliori per questo».


Nascondersi: che razza di scopo è?


«Non è sempre il caso di apparire: mi sembra una costrizione abominevole. Se tu non appari non esisti? Noi esistiamo, anche se non andiamo online: rompiamo questo meccanismo diabolico, nascondiamoci un po' nel segreto di noi stessi. Anche il fatto di apparire sui social è legato al potere: se appari vieni invitato, coinvolto, se no stai nel tuo angolino. Io sono per l'angolino».


Fuggire per non esporsi intimamente.


«Questo è il centro del libro: come si fa a essere veri? Stare con se stessi, coltivare i propri pensieri, stare dentro. Fuori, si viene fagocitati in un pensiero univoco, che tutto travolge: finiamo per parlare per formule, dire le cose che gli altri si aspettano da noi. Il nostro conformismo è al momento sconvolgente. Se lei dice: Sbaglio a pensare questo, si autocensura, sta zitta e lascia perdere, allora va tutto bene. Se decide di dire: No, la paga carissima. Non la invitano più, non va da nessuna parte, i suoi amici storcono il naso».


È la cultura della cancellazione?


«Non solo: anche dell'autocancellazione. Che va molto ben distinta dalla fuga. Stiamo dando i numeri. Abbiamo esasperato il politicamente corretto e queste forme di pensiero generalmente buono, civico, ecologista, da cui non si esce. Ci sono dei dover essere, dei dover dire e dover pensare da cui non ci si libera più. Ripercorrere la storia e cancellare, del passato, ciò che non risponde più a quel che oggi pensiamo è pura follia, come se avessimo azzerato il tempo. Distruggiamo il senso delle cose».


Mania di controllo?


«È la morte. Anche la letteratura, come spiega Walter Siti, è soffocata da questi diktat. Come ne usciamo? A volte mi viene in mente magari di creare un movimento che la pensi come me. Poi mi siedo, voglio fare un elenco di membri possibili e se mi viene un nome o due è già tanto. Come scrive Guia Soncini, sono tutti suscettibili. Anche i pomodori».


Le favole come antidoto. Ma come si scrivono?


«Fate un gioco: provate a pensare a una storia qualsiasi. Amore, tradimento, quel che si vuole. Poi provate a sostituire gli esseri umani con gli animali ed è fatta. Prendiamo la mia storia: me l'ha ispirata un orso vero, il mitico M49. Scappa troppo: mi sa che deve andare da qualche parte, ma dove? A quel punto, siete già narratori».


Le favole come scorciatoie per il profondo?


«Gli adulti hanno un pregiudizio orribile: che le favole siano infantili. Invece sono come il mito. Si pongono questioni filosofiche e spirituali enormi: cosa vuol dire essere veri o finti? Fin dove può arrivare il sacrificio di sé? E tutto deve arrivare semplicemente: quando si scrive una favola si ha un bambino davanti a sé e si ritorna bambini. Tutto allora deve essere molto chiaro.

Non può impastoiarsi in quelle complicazioni che piacciono tanto agli intellettuali: deve andare diritta».

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