Il politologo Giorgio Galli si è spento oggi a Camogli all'età di 92 anni. Nella sua vita ha indagato i totaltarismi, in particolare il nazismo, e l'influenza dell'esoterismo nella politica. Per ricordarlo, pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto del suo ultimo libro: Hitler e l'esoterismo (Oaks editrice)
L’idea hitleriana dell’osservatorio astronomico si ripresenta a conclusione di una esposizione nella quale, a proposito della “fuga dalla ragione” di Webb, il Führer presenta la sua cultura esoterica in questi termini: «Nella nostra qualità di tedeschi ragionevoli, ci prendiamo la testa tra le mani e ci interroghiamo per cercar di capire come mai tutte quelle mistificazioni ebraiche (la Bibbia, come detto in precedenza, n.d.r.) manipolate dai preti abbiano potuto far girare la testa a dei tedeschi sino a indurli a pratiche delle quali sorridiamo quando si tratta di rotanti dervisci turchi o di magia nera. La conclusione che voglio trarre da queste considerazioni è che in avvenire bisogna fare tutto quanto è umanamente possibile per impedire al popolo tedesco di intristire nello spirito – e poco importa che si tratti di follia religiosa o qualunque altra forma di disordine mentale. A questo fine ho previsto che tutte le città siano dotate di un osservatorio, perché è accertato che l’astronomia è uno dei migliori mezzi di cui dispone l’uomo per ampliare la sua concezione del mondo e di conseguenza per tutelarsi contro l’errore» (pag. 383). Sorprendente: chi crede in spazi dominati dal Ghiaccio cosmico, nei quali si combatte una lotta tra Bene e Male che spiega quella sulla Terra, invoca come ragionevole questa “concezione del mondo”, che si contrappone ai dervisci (cari a von Sebottendorff) e alla magia nera; una concezione che può coesistere, in questo testo, con una serie di osservazioni assolutamente ragionevoli, come un giudizio positivo su Hess e una valutazione sui carri armati simile a quella di Hanson.
La prima: «Un giorno c’erano Hess con la moglie e la cognata. Uno studente ubriaco si permette al loro indirizzo una affermazione fuori posto. Hess lo redarguisce. L’indomani due spilungoni si presentano da Hess per chiedergli ragione dell’offesa fatta al loro collega! Ho proibito a Hess di lasciarsi trascinare in quella ridicola faccenda, pregandolo di mandare da me i due. A costoro ho detto: voi volete litigare con un uomo che per quattro anni si è battuto contro il nemico. Non vi vergognate?» (pagg. 188-189). È il 19 gennaio 1942, sono trascorsi otto mesi dal volo di Hess e questo affettuoso ricordo dell’antico compagno è importante, perché significa che Hitler, oltre a richiamare la comune visione esoterica, ha quanto meno capito la buona volontà della sua iniziativa, in quanto, a proposito dell’Inghilterra, egli stesso aveva scritto sul Mein Kampf.
La seconda osservazione: «Alla fine della prima guerra mondale, l’esperienza aveva dimostrato che solo il carro armato pesante e più fortemente blindato era efficace. Ciononostante, subito dopo la pace si mettono a costruire carri armati ultraleggeri» (pag. 103).
Ragionevoli osservazioni di questo tipo, si accompagnano a una valutazione del suo ruolo, inteso come missione, che mette in luce la sostanza della sua cultura esoterica: «Se la mia presenza su questa terra è provvidenziale, lo si deve a una volontà superiore. La nostra epoca vedrà la fine della malattia cristiana. È questione di cento anni, forse di duecento. Il mio rammarico sarà solo, a somiglianza di un certo profeta, di scorgere la terra promessa solo da lontano. Noi entriamo in una concezione del mondo che sarà un’era soleggiata, un’era di tolleranza. L’uomo deve essere in grado di sviluppare liberamente i talenti datigli da Dio. L’importante è che noi impediamo a una menzogna più grande di sostituirsi a quella che scompare. Il giudeo-bolscevismo deve inabissarsi» (pag. 265). E: «Se devo giudicare la mia opera, devo anzitutto tenere conto del fatto che ho contribuito a far trionfare il concetto del primato della razza, in un mondo che aveva dimenticato questa nozione. Ho dato poi alla nazione tedesca una solida base culturale. In effetti, la potenza di cui noi oggi disponiamo, può essere giustificata, a mio avviso, solo dall’istituzione e dalla diffusione di una grande cultura. Riuscire in questo compito deve essere l’imperativo della nostra esistenza. I mezzi che impiegherò a questo scopo supereranno di molto quelli che occorsero per condurre questa guerra. Voglio essere un costruttore. È mio malgrado che sono un condottiero. Se applico la mia mente a problemi militari, è perché so che, per adesso, nessuno riuscirebbe meglio di me. Reagisco come un contadino minacciato nei suoi beni. È in questa disposizione di spirito che faccio la guerra. Essa è per me un mezzo finalizzato a conseguire altri fini. Il compito attuale, ossia quello di costruire la grande Germania e di condurla alla potenza mondiale, non poteva che essere assolto da un uomo del Sud» (pagg. 94-95). Un contadino profeta e condottiero, al contempo diffusore di una grande cultura (esoterica) e costruttore di una grande Germania, potenza mondiale di razza ariana: così si vede e si vive Hitler, che nelle ultime pagine di questa parte nel libro – nel settembre 1942, quando le sue armate marciano ancora verso il Caucaso – rievoca i suoi inizi da alunno ribelle, prima di trovare i veri maestri in un’Ellade nietzscheanamente idealizzata: «Inutile dire che presso i professori non ero in odore di santità. Un adolescente di tredici o quattordici anni, se ha la mente sveglia, ha facilmente la meglio su un maestro abbrutito da anni di insegnamento. È comprensibile che i giovani greci si recassero talvolta molto lontano per beneficiare dell’insegnamento di un maestro di loro gusto. Del resto i giovani dell’antichità andavano al combattimento raggruppati attorno al loro maestro. Nessuno può avere più entusiasmo di un fanciullo dai tredici ai diciassette anni. Si farebbe sbranare per un maestro, se questi è veramente un uomo. Vorrei che fosse così anche da noi, che intere classi partissero per il fronte in compagnia del loro maestro» (pag. 507). Mancano un paio di mesi alla catastrofe di Stalingrado, Hitler è ancora convinto di vincere sulla base di una “grande cultura”, mentre intere classi della gioventù tedesche si stanno “facendo sbranare” per lui, quando i sogni esoterici di vittoria del Terzo Regno su Arimane si stanno rovesciando nel loro contrario e non l’inesistente giudeo-bolscevismo, ma l’Unione Sovietica reale di Stalin si accinge a scagliare i suoi carri armati pesanti contro un esercito stremato, costruito da Hitler con una logica realistica (le guerre-lampo nel triennio, con rapporti di forza favorevoli), ma sulla base di una cosmologia infondata e fantastica. Questa è la chiave della personalità del Führer, del suo inesauribile discettare sullo scibile umano, mentre le sue armate sembrano avanzare, irresistibilmente e quasi automaticamente, dopo aver superato l’ostacolo davanti a Mosca, nell’inverno 1941: la neve del presentimento, trasformata e domata dal ghiaccio di Hörbiger, il vero principio dell’universo, “rapporti segreti” di un antico sapere, trasmessi al solo Hitler e a coloro che definisce “quelli della sua cerchia” e non a un altro “qualcuno”, perché lui solo è in grado di ricostruire all’Est il destino ariano del popolo.
Questa certezza, chiave delle personalità frutto di una formazione esoterica, si incrina nell’autunno del 1942, davanti a Stalingrado, che non è un errore – come egli credeva – dell’uomo che ha dato nome alla città, ma è invece la prova che l’URSS ha più armi e più risorse del Terzo Reich, che la guerra-lampo, riuscita all’Ovest, è fallita all’Est.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.