Cultura e Spettacoli

La Russia islamica nella visione di Putin

Molto si è scritto e si scrive dell'idea sedimentata in taluni ambienti conservatori che Mosca sia la Terza Roma. Ma non è così. O meglio: la Russia è molto più di questo. Perché Mosca è Terza Roma e Seconda Mecca allo stesso tempo

La Russia islamica nella visione di Putin

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto del libro di Emanuel Pietrobon, "Nella testa dello Zar", edito da Giubilei Regnani nella collana curata da Andrea Indini, I tornanti.

Russia, tra Roma e Mecca

Nell'immaginario collettivo occidentale, e non solo, la Russia è l'equivalente ortodosso degli Stati Uniti: una potenza imperiale che si crede autoinvestita di un destino manifesto e si vede evangelica Città sulla collina chiamata a purificare il mondo attraverso la violenza redentrice. Gli Stati Uniti come «nuova Terra promessa», come «nuova Gerusalemme», gli americani come «nuovo Popolo eletto». La Russia come «Terza Roma», «Regno dei cieli», gli eredi di Rurik e Vladimir il Grande come cuore del «Mondo russo». Ma la Russia non è solo questo, o meglio è più di questo: perché Mosca è allo stesso tempo Terza Roma e Seconda Mecca, così come è sia erede di Bisanzio sia cugina di Istanbul.

Nella testa dello zar. I segreti di <a data-autogenerated=Vladimir Putin " loading="lazy" decoding="async">

I destini della Russia e dell'Islam si sono intrecciati prima dell'anno Mille, con l'incontro tra la Rus' di Kiev e la Bulgaria del Volga attorno al 900, e da allora hanno dato vita ad un tutt'uno inestricabile, complesso e talvolta conflittuale. Trovare un equilibrio, un modus convivendi, non è stato facile e lo spettro di un'implosione provocata da una guerra etno-religiosa continua ad agitare i sonni dei decisori politici.

I tatari del Tatarstan commemorano ogni anno la presa di Kazan (Xäter Köne) del 1552, un appuntamento che nei tempi recenti è entrato nel mirino del Cremlino per via della crescente presenza di elementi dell'Islam integralista che provano a sfruttarlo per alimentare sentimenti divisivi in una regione già afflitta dalla piaga del terrorismo e della radicalizzazione religiosa, dove operano l'Emirato del Caucaso, Hizb-ut Tahrir e dove si troverebbero approssimativamente tremila radicalizzati noti alle autorità, escludendo quelli passati per le celle di Guantanamo e i circa trecento recatisi in Siria tra il 2011 e il 2015 per combattere nelle file dello Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. I tatari di Crimea, similmente, sono finiti al centro dell'agenda del FSB nel dopo-annessione per via dell'infiltrazione all'interno della loro comunità di Hizb-ut Tahrir, della loro presenza nel Donbas in chiave antirussa e dei giuramenti di fedeltà allo Stato Islamico – almeno cento le partenze nella Siria della guerra civile.

La situazione non è più rosea in Ciscaucasia, cioè nel Caucaso settentrionale, le cui popolazioni islamiche mai hanno digerito l'inglobamento nell'Impero russo e danno vita a ribellioni su larga scala a cadenza regolare. L'eroe nazionale del popolo ceceno, non a caso, è lo sceicco Mansur, che verso la fine del Settecento sobillò le tribù ciscaucasiche proclamando il Jihād contro i russi. Mansur, un uomo capace di incutere timore anche da morto, perché la maledizione dell'anarchia ciclica fa nascere una sua reincarnazione periodicamente: Ghazi Muhammad e l'imam Shamil nell'Ottocento, l'asceta Hassan Izrailov durante la Seconda guerra mondiale, l'emiro Basayev, Zelimkhan Jandarbiev e Dokka Umarov nelle due guerre cecene. E non va dimenticato che, oltre alla chiassosa Cecenia – addomesticata soltanto trasformandola in un dominio privato della famiglia Kadyrov –, problematiche di dimensioni variabili, quando concernenti la radicalizzazione religiosa e quando il separatismo, costellano l'intero spazio turco-islamico della Federazione, che copre gli Urali e si estende sino all'Estremo Oriente.

A Putin va riconosciuto il merito di aver rivoluzionato il modo di considerare l'Islam e i popoli turco-turanici che abitano il territorio russo, a lungo ritenuti delle potenziali quinte colonne permeabili alle infiltrazioni esterne, perché in passato alleati della Turchia ottomana e della Germania nazista. Una paranoia dura a morire, eredità del trauma dell'invasione mongola, delle guerre russo-turche di Caterina la Grande, delle due guerre mondiali e della primavera separatistica di fine Novecento e inizio Duemila. Una paranoia che nel corso della storia è stata motivo di crimini atroci, come le deportazioni staliniane, e di campagne di repressione, come la chiusura di moschee e madrase, passate dalle oltre 15mila del 1917 alle 100 del 1991.

Putin, un pragmatico, non appena entrato nel circolo di Eltsin diede impulso all'approvazione della Legge sulla libertà di coscienza e le associazioni religiose che, fondata sul principio del «tutte le religioni sono uguali ma alcune sono più uguali di altre», ha elevato quattro fedi a colonne portanti e parti integranti (e inseparabili) dell'identità nazionale russa: Buddhismo, Cristianesimo ortodosso, Ebraismo e Islam. Da allora, dal 1997, l'Islam è stato de facto istituzionalizzato e lo Zar degli ortodossi è diventato anche il Califfo dei musulmani; una scelta rivelatasi lungimirante nella maniera in cui ha posto sullo stesso livello la Croce e la Mezzaluna, sebbene la prima continui a risaltare sulle altre tre religioni tradizionali, e portato l'Islam dai margini al centro della vita politica, pubblica e spirituale della Federazione.

Aminemici per sempre

L'Islam deve essere fuso nel sistema di potere e nel tessuto sociale della Russia perché ne è parte integrante da prima dell'anno Mille, e perché un Islam maltrattato in patria è un Islam corteggiato dai rivali del Cremlino. È questo il ragionamento intriso di realismo che ha storicamente guidato i passi di Putin nel campo minato islamo-turco-turanico della Federazione.

La Russia aveva bisogno di una nuova ma vecchia identità in grado di accompagnarla nel nuovo secolo, il secolo della storia in lotta contro la Fine della storia e del «Jihād contro McMondo» – ogni riferimento a Benjamin Barber è puramente voluto –, e che la rendesse in grado di superare la maledizione dell'anarchia ciclica e la condizione di colosso dai piedi di creta. Questo il motivo del ritorno in auge della celebrazione della Grande guerra patriottica, collante universale che unisce tutti i popoli della Russia, del recupero del concetto di Terza Roma e della riconciliazione con l'Islam. La campagna di nazionalizzazione delle masse dell'era Putin, dunque, ha avuto due direttrici: l'introduzione di ogni individuo ad un credo laico universalistico, cioè la crociata collettiva contro il nazismo, e ad uno religioso particolaristico, variabile a seconda della comunità di appartenenza.

Scrivere dell'agenda islamica di Putin è più che importante: è fondamentale. Ed è soltanto attraverso i numeri che si può capire l'importanza di questo disegno identitario:

  • I credenti islamici sono quasi raddoppiati dal 2002 al 2018, passando da 14,5 milioni a 25 milioni, e costituiscono la seconda comunità religiosa più numerosa dopo quella cristiano-ortodossa;
  • L'Islam è la religione di oltre 58 gruppi etnici, nazioni e tribù della Federazione;
  • L'Islam è la religione maggioritaria in almeno sette repubbliche;
  • Elevato tasso di fertilità e immigrazione, se dovessero restare ai livelli dei primi vent'anni di vita della Russia indipendente, potrebbero trasformare l'Islam nella fede praticata dal 30% dell'intera popolazione della Federazione entro il 2034 e nella principale religione, davanti all'Ortodossia, nei decenni successivi;

Paura che la prossima stagione di separatismo possa essere anche l'ultima; questo è un altro dei motivi alla base dell'agenda islamica di Putin. Si è tentato di esorcizzare lo spettro, nella speranza di minimizzare le probabilità di un poltergeist, alimentando una «rinascita controllata» dell'Islam, adottando la linea della tolleranza zero verso le correnti fondamentalistiche – de facto equiparate a quelle jihadistiche – e cercando di appianare le differenze tra le varie scuole di pensiero e confessionali allo scopo di creare un «Islam russo», ivi chiamato «Islam tradizionale».

La rinascita controllata ha condotto, tra le varie cose, all'apertura di oltre 8mila tra moschee, madrase e scuole islamiche dal 2000 al 2015, alla popolarizzazione della «moda islamica», alla diffusione dell'«economia halal» nel settore turistico e agli accordi di cooperazione con l'Arabia Saudita per semplificare l'Hajj alla Mecca dei pellegrini russi.

L'Islam illuminato nel corso dei secoli ha diffuso le sue tradizioni in Russia. Il fatto che diversi popoli e religioni vivano insieme pacificamente in Russia è in larga parte dovuto alla comunità islamica, che ha dato un contributo notevole alla preservazione dell'armonia nella nostra società e si è sempre impegnata per costruire relazioni nelle e tra le religioni basate sulla tolleranza per la fede altrui.

Vladimir Putin, 2015

La tolleranza zero contro l'Islam radicale e la guerra preventiva al terrorismo di stampo jihadistico ha permesso di sventare oltre duecento attentati dal 2010 al 2021.

L'ambizioso progetto di forgiare un Islam russo, dunque leale al Cremlino, non ha ancora avuto successo, perché la umma continua a essere divisa su linee confessionali, dottrinali e persino etniche – l'Islam ceceno, ad esempio, è profondamente diverso da quello praticato in Jacuzia, dove appare come un credo sincretico mescolante elementi sciamanici – ma un risultato l'ha ottenuto: emarginare e silenziare i capi-religiosi ambigui e indocili, istituzionalizzare e dare prestigio a quelli filogovernativi. Evento-chiave della faticosa costruzione di un Islam tradizionale, cioè moderato e quindi appoggiabile da Mosca, è stata la Conferenza internazionale sull'Islam sunnita, allestita a Grozny nel 2016, che ha attirato oltre trecento scolari e ulema da tutto il mondo, incluso dall'università egiziana al-Azhar – punto di riferimento del sunnismo –, ed è servita a dare una definizione unanime al concetto di «sunnita». Curiosamente, ma non sorprendentemente, Putin aveva escluso dai lavori i rappresentanti della corrente wahhabita, ritenuta la principale causa della radicalizzazione della umma russa.

L'Islam, oggi, è un braccio spirituale del Cremlino né più né meno autonomo del Patriarcato di Mosca, o della Federazione delle comunità ebraiche, e possiede un corpo amministrativo incardinato su tre realtà: il Consiglio dei Muftì, l'Autorità spirituale di Ufa e l'Autorità spirituale del Caucaso. Le tre istituzioni sono i punti di collegamento tra Mosca e la galassia dell'associazionismo islamico e, sebbene siano talvolta in competizione tra loro, lavorano di comune accordo all'obiettivo statuito da Putin a inizio Duemila: l'adesione della umma russa all'Islam tradizionale e il suo allontanamento da ogni scuola ritenuta eterodossa, perciò potenzialmente pericolosa, dal salafismo al wahhabismo.

Se Putin è un sultano, o meglio un califfo, è anche perché non ha lasciato che le grandi istituzioni governative monopolizzassero il panorama islamico: lui stesso, in prima persona, ha omaggiato l'apertura di nuovi luoghi di culto, dall'Akhmat Kadyrov di Grozny nel 2008 alla moschea-cattedrale di Mosca nel 2015 – inaugurata alla presenza di Recep Tayyip Erdoğan e Mahmoud Abbas –, cita il Corano in occasione di grandi eventi, permette agli omologhi stranieri di pregare all'interno del Cremlino e ha difeso l'onore dell'Islam ogniqualvolta la umma si fosse sentita offesa.

Celebre, a quest'ultimo proposito, la presa di posizione netta di Putin contro la presidenza Macron e la rivista Charlie Hebdo durante la controversia sulle rappresentazioni satiriche di Maometto riemersa nell'autunno 2020.

Commenti