Cultura e Spettacoli

La mostra di Romana Zambon e i suoi paesaggi urbani

Romana Zambon, architetto e amante della fotografia torna in mostra a Milano nel cuore di Brera per presentare la personale SENZATITOLO#17 in cui sono raffigurati paesaggi urbani

La mostra di Romana Zambon e i suoi paesaggi urbani

E’ cominciata con alcune partecipazioni ad aste di charity la carriera di fotografa di Romana Zambon, milanese d’adozione, architetto e amante della fotografia.

Adesso Romana Zambon torna in mostra in galleria Federica Ghizzoni, nel cuore di Brera per una nuova mostra personale intitolata SENZATITOLO#17 da giovedì 9 febbaio. Saranno 12 le fotografie in anteprima dello stand del MIA PHOTO FAIR che si terrà a Milano dal 9 al 13 marzo.

“Sono sempre stata attratta dalla forza del colore che associo a vari stati d’animo” afferma Romana quando parla della sua passione per la fotografia che sta trasformando molto velocemente in una professione e continua spiegando che “questo elemento, insieme all’armonia delle forme, colpisce la mia attenzione e la trasforma in scatto, in istante, in fotografia”.

Adesso presenterà in particolar modo due argomenti: Riflessi e SENZATITOLO#17. Il tema riflessi tratterà di un argomento complesso e ben storicizzato come quello del paesaggio urbano non in modo diretto ma attraverso il rimbalzo visivo costituito da una superficie che non solo lo riflette ma, essendo irregolare, lo modifica distorcendolo. Si tratta di una deformazione che propone a chi la osserva una grande serie di variazioni: basta spostarsi anche di poco per assistere a un vero e proprio spettacolo immaginifico. Chi lo vede coglie immediatamente l’aspetto cromatico di questo blu intenso e metallico macchiato da tracce di rosso, giallo, ocra. Ma basta meglio osservare, per riconoscere che nel colore dominate (in realtà è il riflesso del cielo estivo) nuotano figure di palazzi, facciate di chiese, frammenti di tetti, porzioni di piazze.

Per quanto riguarda SENZATITOLO#17 ci saranno raffigurati una Lambretta, un triciclo, alcune motociclette non immersi nel traffico o parcheggiati su un marciapiede dove abitualmente li vediamo per scoprire una loro insospettabile potenza espressiva. Sullo sfondo nero su cui si stagliano, nel vuoto in cui si librano, questo soggetti perdono le loro caratteristiche di mezzi di trasporto per trasformarsi in sculture, in feticci, in pure forme su cui l’occhio si sofferma. La ruggine che farebbe disperare il possessore del mezzo se questo fosse in vita come tale, qui diventa un elemento estetico che dialoga cromaticamente con il bianco e l’azzurro ormai un poco stinto della carrozzeria.

La particolarità di Romana Zambon è quella di saper ripercorrere con le sue distorsioni un sentiero già tracciato da grandi autori come André Kertész fra i fotografi o Salvador Dalì fra i pittori. Si tratta solo di affrontare un tema ben storicizzato come quello del paesaggio urbano non in modo diretto ma attraverso il rimbalzo visivo costituito da una superficie che non solo lo riflette ma, essendo irregolare, lo modifica distorcendolo.

I fotografi si distinguono per la loro capacità di guardare il mondo in un modo tutto particolare: lo osservano con acume, girano con pazienza attorno al soggetti, sanno aspettare il momento che ritengono più adatto e, prima di scattare, attendono che la realtà sui configuri nel mirino della loro fotocamera esattamente come l’avevano pensata. E se così non è, tirano fuori quella pregevole caparbietà che consentirà loro di ottenere i risultati che verranno poi apprezzati da quanti, osservando le fotografie, si chiederanno come ha fatto l’autore a realizzarle.

Romana Zambon tutte queste mosse le ha imparate nelle sue indagini sul paesaggio non accontentandosi mai della ripresa più prevedibile ma sapendo bene che un ulteriore passo, una nuova idea, una improvvisa e audace voglia di osare una prospettiva inconsueta le avrebbe permesso di ottenere i risultati migliori.

Le immagini dei paesaggi non sono stati ripresi in modo diretto ma attraverso la mediazione di superfici irregolari che, riflettendoli, li deformavano restituendoceli come immersi in una dimensione fiabesca e inducendo l’osservatore a ricomporli idealmente.

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