25 anni senza Muro

Il Muro di Berlino? Per i comunisti era legittima difesa

La propaganda rossa motivò l'erezione della barriera con le possibili infiltrazioni del capitalismo. Ma la storia dimostra che fu una galera per milioni di persone

Un momento dell'erezione del Muro di Berlino, iniziata il 13 agosto del 1961
Un momento dell'erezione del Muro di Berlino, iniziata il 13 agosto del 1961

Il 9 novembre 1989 il governo della Germania Est annunciò che le visite a Berlino Ovest erano permesse. Era la fine di un incubo. Il Giornale ha deciso di celebrare i 25 anni dal ritorno alla libertà con una serie di articoli di alcune tra le sue firme più prestigiose, da oggi a domenica.

Il 13 agosto del 1961 il Muro di Berlino trasformò la Repubblica Democratica tedesca, Stato anomalo e sostanzialmente illegale di fabbricazione sovietica - ma a lungo tollerato dall'Occidente -, in una immensa prigione a cielo aperto. Nella quale furono rinchiusi diciassette milioni di tedeschi. Il «Berliner Mauer» - ma anche «antifaschistischer Schutzwall», barriera di protezione antifascista - acquisì subito una tenebrosa fama. Quel torvo vincolo - prima di filo spinato, poi, con il trascorrere del tempo, sempre più tecnologicamente avanzato - incatenava un intero popolo, incatenava la libertà, incatenava la democrazia. Una data di lutto e di dolore che sarebbe durata 28 anni, fino al 9 novembre 1989, quando il Muro fu abbattuto.

La protesta internazionale fu intensa e inutile. Invano le ciarliere cancellerie europee ricordarono che meno di due mesi prima Walter Ulbricht, leader della Ddr - dalle iniziali di Deutsche Demokratische Republik -, aveva assicurato che «nessuno ha intenzione di costruire un muro». Nessuno, forse, tranne lui e i suoi suggeritori di Mosca, primo tra tutti Nikita Kruscev. Le contraddizioni non hanno mai inquietato gli Stati totalitari. E Ulbricht aveva dalla sua parte non solo gli obbedienti mezzi d'informazione dei Paesi vassalli, ma anche i partiti comunisti «occidentali». Tra i quali ebbe modo di distinguersi, per zelo servile, il Pci di Palmiro Togliatti. L'indomani del fattaccio, il 14 agosto, l'Unità annunciò l'imprigionamento dei tedeschi dell'Est con un titolo burocratico: «Misure di sicurezza della RDT ai confini con Berlino Ovest». Il testo della notizia spiegava che «contro le attività di spionaggio e provocazione dei revanscisti di Bonn (allora capitale della Germania federale, ndr) sono state assunte misure di sicurezza che ogni Stato sovrano applica alle proprie frontiere».

Il 17 agosto il comitato centrale del Pci ricordava il quinto anniversario della messa fuori legge dei comunisti nella Germania Ovest, rinnovando «i sentimenti della più profonda solidarietà nei confronti dei comunisti occidentali perseguitati oggi da Adenauer come ieri da Hitler». Mancava a queste attestazioni di prona ortodossia l'imprimatur a firma di Togliatti che, infatti, arrivò il 20 agosto. Il Migliore trasse spunto dall'evento berlinese per sostenere che il mondo stava assistendo a uno scontro fra il partito della guerra, capitalista, e il partito della pace, che aveva la sua guida nell'Urss.

In questo sfrontato capovolgimento della verità rientrava l'affermazione che il muro volesse impedire l'ingresso nella felice Ddr a facinorosi, complottatori, neonazisti. In realtà la Ddr si stava svuotando per l'attrazione di una Berlino «capitalista» contigua alla desolata Berlino delle fulgide sorti progressive. Due milioni e mezzo di tedeschi dell'Est - intraprendenti, ambiziosi, dotati di capacità professionali - avevano varcato il confine ancora aperto per mai più tornare nella Ddr (tranne che per le visite familiari). Invece i cultori d'una dura tetraggine tedesca avevano trovato nel comunismo la palestra perfetta per esercitare i loro talenti repressivi, spegnendo ogni capacità creativa. Nel Paese che aveva e avrebbe ancora generato modelli automobilistici ammirati dal mondo, la tecnica della Ddr riuscì a creare l'orribile Trabant. Ho avuto la sorte di viaggiarci, un'esperienza traumatica.

Il Muro di Berlino è stato il simbolo della Guerra Fredda. Il check-point Charlie, dove si lasciava la zona americana e ci si avventurava nel triste universo comunista, si è col tempo rivestito di connotati mitici. Quasi non più realtà, ma leggenda. C'è ben altro - il famoso «benaltrismo» - a cui pensare. Ma è storia recentissima e remotissima insieme. La storia di quando i vincitori della Seconda guerra mondiale - inclusa la Francia, che vincitrice non era - si spartirono le spoglie dei vinti. La Germania fu divisa in quattro zone d'occupazione - la statunitense, l'inglese, la francese, la sovietica - e la capitale Berlino, interamente circondata da territorio in mani comuniste, ebbe anch'essa la sua divisione in quattro. In uno dei distretti «comunisti», Pankow, fu insediata la presidenza della Germania Est per cui da allora in poi si parlò anche di governo di Pankow.

L'Urss voleva azzannare la Berlino occidentale, e nel 1948 si provò a isolarla. Ma un ponte aereo straordinario nutrì Berlino, e Mosca dovette rinunciare al proposito di prendersela per fame. L'Occidente si stava invece prendendo il popolo della Germania Est con i suoi allettamenti capitalisti. Da lì il muro, con le migliaia di tentativi di superarlo e con la sua ripartizione effettiva in due muri separati da uno spazio che acquisì il macabro nomignolo di «striscia della morte» per il numero dei fuggiaschi - duecento o poco meno - abbattuti dalle guardie di frontiera.

Il 26 giugno 1963 il presidente Usa John Fitzgerald Kennedy tenne a Berlino un discorso in cui si proclamò berlinese. «Ci sono molte persone - disse - che non comprendono o non sanno quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l'onda del futuro. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che in Europa e da altre parti possiamo lavorare con i comunisti. Fateli venire a Berlino!». Ogni tanto, con la memoria, ci conviene andare a Berlino. La realtà d'oggi ci sembrerà meno cupa.

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