Nella San Francisco della controcultura c’è il rifugio dei libri impossibili

Isbn ha ripubblicato L’aborto, uno dei più divertenti e poetici romanzi di Richard Brautigan, il campione della controcultura americana degli anni Sessanta reso famoso dal libro Pesca alla trota in America

Nella San Francisco della controcultura c’è il rifugio dei libri impossibili

Sbaglio o le cose di cui gli scrittori parlano più volentieri nei loro libri sono i libri stessi e la bellezza delle donne? A sommi capi si può rispondere di sì. Soprattutto - mi viene da aggiungere - se lo scrittore è stato capace di conservare l’innocenza propria dell’infanzia. E quella ingenuità, aggiungerei, che gli fa vedere ogni cosa come una nuova conquista, anche nei casi in cui si tratti invece di luoghi più sfruttati e abusati del canone letterario. Ed è così che non si può non sorridere di fronte all’ingenuità con cui Richard Brautigan (1935-1984), tra i campioni della controcultura americana degli anni Sessanta, parla di libri e di donne nel romanzo «L’aborto», ora ripubblicato da Isbn. I libri sono quelli rimasti inediti che il protagonista/bibliotecario accumula nel fatiscente edificio nel quale vive da recluso a San Francisco. Una sorta di rifugio per le parole e le storie che non troveranno mai un’eco adeguata. Una sorta di arca di Noè per le anime degli aspiranti scrittori. E le donne…. Be’ per rappresentare il loro valore salvifico ne basta una: Vida. Una giovane aspirante scrittrice che piomba nella vita di questo insolito bibliotecario/eremita in piena notte per portargli il suo romanzo, ovviamente autobiografico. Racconta - poetica ingenuità! - del difficile destino di chi sente di abitare un corpo sbagliato. Il suo infatti è quello di una pin-up bellissima, al cui passaggio tutto il mondo è costretto a fermarsi. Una vita difficile la sua. Una vita d’inferno, se non hai il carattere solare e smaliziato che quel corpo sembra richiedere. Da qui parte uno dei romanzi più significativi di Brautigan, reso famoso da quello che non a torto è considerato il capolavoro della controcultura americana degli anni Sessanta: «Pesca alla trova in America» (anch’esso ristampato un paio d’anni fa dalla Isbn). Un romanzo insolito e bizzarro stampato nel 1967 da una piccola casa editrice di San Francisco che in poco tempo ha venduto oltre due milioni di copie. I suoi lettori, in gran parte di giovani, erano affascinati dal personale stile di Brautigan e dalle sue surreali metafore strette in una abito di realismo magico. Nel 1971, vista la popolarità ottenuta nel suo Paese, la casa editrice Marcos y Marcos mandò in libreria la traduzione di un altro romanzo di Richard Brautigan. Visti i tempi, però, ne cambiò il titolo. Stiamo parlando appunto di «L’aborto» che uscì col titolo «La casa dei libri». Il libro infatti non parla soltanto dell’amore per le storie impubblicabili e di una fede inesausta verso il proprio destino di paladino dei falliti, bensì racconta anche di un aborto. Vida rimane incinta del suo tenero bibliotecario e insieme decidono di andare a Tijuana per sbarazzarsi del feto. E il viaggio è lo spunto per far saggiare allo sprovveduto eremita tutti gli effetti, le emozioni e le sensazioni che fino ad allora non era nemmeno riuscito a immaginare: un volo in aereo, la sala d’aspetto di un avido medico messicano, i volti, i luoghi, i locali notturni, gli alberghi e i motel che fanno - da sempre - da naturale sfondo della letteratura e del cinema on the road. Qui però il tratto leggero e spontaneo di Brautigan nel descrivere luoghi e personaggi conduce a una divertita commedia surreale. Non lontana da quello che poi sarà il suo ultimo capolavoro «American Dust» (anch’esso recentemente ristampato da Isbn), che ha fatto dire ad Alessandro Baricco: «Fa molto ridere, ma veramente molto e in un modo che solo chi legge libri conosce: ridi dentro. È una tecnica. Credo che l’abbia inventata Dickens. Salinger l’ha portata a vette sublimi». Questo Mark Twain contemporaneo (come l’ha definito Marco Belpoliti) suona una corda su tutte: quella della digressione.

Con un’accentuata vena di appassionata malinconia che arriva fino al punto di rendere epico il racconto stesso. Proprio come accade per tanta produzione letteraria di quegli anni (da Kerouac a Ginsberg). C uno stile, tuttavia, incantato e felice che da noi soltanto Gianni Celati può vantare.

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