Cultura e Spettacoli

Nera, operaia, folle, borghese Cattelan nell'anima di Torino

Da Porta Palazzo ai padroni della Fiat, dal sensitivo Rol al Valentino "proibito". "Shit and Die" è il capolavoro dell'artista in veste di curatore

Nera, operaia, folle, borghese Cattelan nell'anima di Torino

Con buona pace di Chiamparino e Fassino che puntano su un'immagine turistica e accogliente, Torino continua a essere la città che tanto piace a Dario Argento perché inquietante e intrisa di mistero. Novembre, dopo il ponte dei morti, è la stagione ideale per capirla bene: piove, comincia a far buio presto, le strade si svuotano la sera come negli anni '70. Ecco allora venir fuori la Torino della magia nera, dei misteri, quella per cui Fruttero e Lucentini inventarono il PLU, Premio Lugubre Urbano, dove Nietzsche impazzì e dove la fabbrica, per un secolo, ha dettato ritmi e silenzi.

Quando è arrivato in città accettando la curatela di una mostra d'arte durante Artissima, Maurizio Cattelan ha cominciato a studiare Torino oltre l'apparenza del presente. Gli è stato affidato Palazzo Cavour, uno spazio poco usato, e lui è andato a informarsi sulla storiella a proposito del Conte coprofilo. Poi ha visitato il Museo Lombroso, luogo culto per chi si occupa di fisiognomica e devianze, e ci ha trovato la forca che veniva eretta nel rondò tra corso Regina e corso Valdocco, cosicché la gente assistesse alle condanne a morte.

Basterebbero questi due estremi per capire il senso di «Shit and Die», Caga e muori, che apre domani (chiuderà l'11 gennaio). È la mostra dell'anno, perché fa invecchiare di colpo la disciplina della curatela, rendendo obsolete tutte quelle sequenze di opere accostate come in un'antica pinacoteca secondo principi di natura estetica. Insomma, Maurizio ci manda tutti in pensione. Me compreso.

Oltre a essere l'artista che è, Cattelan in questi anni ha imparato a vedere, sa destreggiarsi tra le cose dando a ciascuna la giusta importanza, si tratti di opere o di semplici oggetti. È un intellettuale a 360 gradi, un uomo curioso e avido d'esperienze. Durante l'allestimento della mostra passa da una sala all'altra con leggerezza e premura, accompagnando per mano questa sua creatura in cui ha messo tutto se stesso, aiutato dalle giovani Marta Papini e Myriam Ben Salah. Raramente ho visto una così profonda dichiarazione d'amore verso una città, anzi d'amore e morte, ed essendo io torinese non posso che ringraziarlo al limite della commozione.

Sarà magari un fatto generazionale, Cattelan è nato nel 1960, in un tempo in cui Torino era una company town dove la gente andava solo per lavorare o per vedere la Juventus. Lui ha seguito passo per passo le tappe più significative di questa città oscura. Ha chiesto al camerunese Pascale Marthine Tayou di rileggere il mercato di Porta Palazzo, primo esempio di multiculturalismo quando i meridionali erano visti alla stregua degli africani. Si è fatto accogliere nei salotti bene, dove è difficilissimo entrare e ti chiedono da dove vieni, non chi sei, oggi occupati dai collezionisti ricchi. Ci è andato con la cattiveria che gli conosciamo, distruggendo la loro immagine pubblica, in una memorabile galleria di ritratti, dove ci sono sì i protagonisti dell'Arte Povera, ma anche i padroni della Fiat, il sensitivo Gustavo Rol, il pressoché dimenticato Achille Occhetto, una marchetta del Valentino e Rita Pavone, che quando ero piccolo sua sorella vendeva le calze alla Crocetta.

In un mix tra opere o oggetti di collezione e lavori prodotti site specific , Cattelan ha intercettato cose straordinarie, come i dipinti del greco Stelios Faitakis che imita lo stile dei muralisti messicani immaginando scene di folla sui movimenti operai e la follia di Nietzsche. Ha inserito in due stanze insistite visioni di sesso, di cui i torinesi non parlano mai, e che anzi trovano sconveniente, ripescando soprattutto immagini di donne che per il proprio corpo hanno combattuto, come Dorothy Iannone, Lynda Benglis e Valie Export. Soprattutto, ha provato a rimettere a posto i conti con la storia, dedicando una riflessione a voce alta a due straordinarie figure di torinesi in conflitto con il loro tempo. Per l'architetto Carlo Mollino non solo le polaroid ma un film realizzato da Yuri Ancarani dal titolo Sèance , evocazione dell'assente tramite una seduta spiritica. Per Aldo Mondino una mini-personale che finalmente gli restituisce la centralità che merita. E insieme al figlio Antonio ne ricordava l'estemporanea performance di quando si presentò in groppa a un cammello al Bar Giamaica in Brera, a Milano. Non voleva fare nulla di particolare, solo una bevuta con gli amici.

C'è chi definisce Cattelan un goliarda, invece siamo davanti a un'intelligenza cristallina che merita un incondizionato applauso.

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