La nipote di Federico Caffè: «Se ne andò per libera scelta»

La nipote di Federico Caffè: «Se ne andò per libera scelta»

La sparizione di Federico Caffè (nella foto), del quale si sono perse le tracce 25 anni fa, «non è un giallo, ma il frutto di una libera scelta che abbiamo sempre rispettato». Lo afferma Giovanna Leone, nipote dell’economista scomparso nel nulla nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987. «Qualunque sia la verità sui mio zio - prosegue - noi la rispettiamo per il bene che gli abbiamo voluto. L’assenza è un lutto incommensurabile, ma non parliamo di gialli. Quella di mio zio è stata una libera scelta. E come tale merita rispetto». Di enigma irrisolto, invece, parlava lo scrittore Ermanno Rea nel libro L’ultima lezione (Einaudi, 1991) dedicato alla scomparsa dell’economista. «Federico Caffè - dice Rea -, facendo perdere le tracce di sé ha lasciato un’incognita. È stato bravo nel disegnare la sua eclissi. Oggi noi lo ricordiamo per questa ragione. Scoprirne anche solo le ossa ce lo farebbe seppellire definitivamente».
Quella mattina, all’alba, il professor Caffè uscì di casa nel quartiere di Monte Mario, a Roma. Rea, nel tentativo di dipanare il mistero si recò anche nel convento certosino di Serra San Bruno, in Calabria, ipotizzando che Caffè avesse scelto la segregazione tra le mura di un convento. Il sottosegretario della congregazione che si occupa degli istituti di vita consacrata, da lui interpellato, spiegò che «la Chiesa è disponibile a dare protezione a chi desidera isolarsi dal mondo, entrando come laico in una comunità di monaci o di eremi». Il ricordo dell’economista tanto dedito alla formazione dei suoi studenti vive ancora alla Sapienza. Un insegnamento, il suo, più che mai attuale, dice Rea: «I tempi gli danno ragione in pieno. La sua idea di un’economia dal volto umano, tanto osteggiata ai suoi tempi, avrebbe aiutato il modo di affrontare le questioni politico-economiche. Caffè era per un’economia che appagasse i bisogni dell’uomo, al servizio dell’uomo. Ecco perché sono convinto che non vivrebbe bene in questo mondo».

Un’opinione non condivisa dalla nipote Giovanna: «Lo zio non era tipo da impaurirsi con facilità. Certamente sarebbe stato critico, mai catastrofista. Avrebbe cercato di trovare una soluzione, fedele alla convinzione che più le situazioni sono critiche, più devono essere costruttive».

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