Non cancelliamo la Storia con il "diritto all'oblio"

La Corte europea di giustizia continua a imporre la rimozione di pagine web Ma il rischio è azzerare la memoria collettiva per tutelare la privacy di pochi

Non cancelliamo la Storia con il "diritto all'oblio"

«Il diritto a essere dimenticati online è la possibilità di cancellare, anche a distanza di anni, dagli archivi online, il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca. Vivace è anche il dibattito su questo tema nel web».

Questo passo difficilmente verrà obliato, cioè rimosso da dove sta. Perché sta in una botte di ferro: nella voce «Diritto all'oblio» di Wikipedia. E che cos'è Wikipedia se non la memoria collettiva del XXI secolo? Inoltre il «Diritto all'oblio», non essendo una persona fisica, non potrà mai alzarsi una mattina e chiedere alla Corte di giustizia europea o alla Corte suprema degli Stati Uniti d'America o simili, di cancellare dalla Rete la voce che lo riguarda, come paventava tempo fa Vint Cerf, il guru dell'informatica.

Cosa che invece ha fatto qualcuno finito, magari di striscio, nelle voci di Wikipedia dedicate all'ex bandito Renato Vallanzasca, e desideroso di togliersi dall'imbarazzante compagnia. Ovviamente con l'acqua sporca non è stato gettato anche il bambino. I “bambini”, cioè le voci «Renato Vallanzasca» e «Banda della Comasina» restano al loro posto, non sono state buttate nel cestino dell'oblio; più semplicemente, cercando su Google il nome della persona autrice del ricorso, della quale peraltro non si conosce l'identità, nelle schermate conseguenti non sono più presenti le suddette voci. Insomma, «mister X», chiamiamolo così, ha ottenuto un parziale oblio ad personam che probabilmente non lo soddisfa appieno.

In questa operazione la Corte europea è stata il mandante, il motore di ricerca Google è stato l'esecutore materiale e Wikipedia... No, vittima no, la più grande enciclopedia mondiale, la Cassazione dei nostri dubbi e delle nostre ignoranze cui attingiamo a volte di nascosto da amici e colleghi per non far brutta figura, non la si può proprio definire vittima. Diciamo però che in questo citato, come in altri casi perlopiù marginali (si parla comunque di circa 90mila domande di rimozione “trasversale”), la creatura di Jimmy Wales, prima della classe quanto al sapere messo sulla piazza del web, si sente defraudata. E alza il tiro della protesta perché sente odore di bruciato. Teme, sotto sotto, che lo strumento del ricorso invocante il «diritto all'oblio» sia un modo subdolo e proditorio per impoverire le pagine del suo gran libro a portata di clic. Oscura oggi, oscura domani, hai visto mai che, nel giro di qualche anno, rosa da migliaia di topolini, dell'immensa forma di groviera non possano restare che... i buchi?

Il «caso Vallanzasca», per il momento è una sventagliata di mitra a salve contro l'informazione via internet. Tuttavia ha l'aria di diventare il classico precedente cui appellarsi per altri, più pesanti sbianchettamenti alla Treccani elettronica. Il diritto all'oblio confligge con il dovere di cronaca? È questa la domanda (retorica) lanciata dai diretti interessati. Wales commenta usando due parole pesanti. «La storia \ è un diritto umano e una delle cose peggiori che una persona può fare è tentare di usare la forza per metterne a tacere un'altra. Sto sotto i riflettori da un bel po' di tempo. Alcune persone dicono cose buone e alcune persone dicono cose cattive. Questa è storia e non userei mai un procedimento legale come questo per cercare di nascondere la verità. Credo che ciò sia profondamente immorale \».

Del resto il problema di fondo del diritto è che se lo prendi di punta ha sempre ragione lui, e se lo prendi di striscio fa male lo stesso. Wales parla pro domo sua , e ci sono miliardi di contatti giornalieri in tutto i mondo a testimoniare per lui. D'altro canto «mister X» ha senza dubbio buone ragioni nel chiedere di tagliare il filo che lo collega al «bel Renè». Forse la soluzione migliore sarebbe lasciare che l'oblio maturi nella testa delle persone, senza imporlo con sentenze di tribunali. Forse anche l'oblio, come la memoria, lo si deve meritare, visto fra l'altro che chiederlo è un'arma a doppio taglio. Esattamente come la smentita di una notizia che, di fatto, dà quella notizia per la seconda volta, a beneficio dei distratti.

Curiosamente, la notizia della levata di scudi dei wikipedisti contro le ingerenze del diritto all'oblio è giunta, due giorni fa, a braccetto con un'altra notizia, all'apparenza più “leggera”. A prendersela con Wikipedia è stato un noto fotografo, David Slater, il quale accampa i diritti d'immagine per la foto che una scimmia si è fatta da sola scippando per un momento la sua macchina. Il selfie del macaco, risalente al 2011, in men che non si dica è diventato virale. Sicché l'incauto (ingordo?) Slater ha ottenuto l'effetto contrario a quello desiderato: l'ondata mondiale di simpatia suscitata dall'animale ha seppellito con un coro di risate la sua recriminazione.

Morale della favola, è come se Slater avesse invocato il «diritto alla memoria» (del suo copyright ) ricevendo una

«condanna all'oblio». Non vorremmo che in futuro, rendendosene conto, passasse al contrattacco invocando il «diritto all'oblio» per i milioni di pagine web in cui è ricordato come quello che s'è fatto fregare da un macaco...

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