Nonostante le proteste, secondo lo Stato non è possibile levare il riconoscimento ai morti

Nonostante le proteste, secondo lo Stato non è possibile levare il riconoscimento ai morti

Al maresciallo Tito, «boia» di italiani, non si può togliere la più alta onorificenza della nostra Repubblica, essendo morto. Per i suoi tre luogotenenti, pure decorati dal Quirinale, il governo ha incaricato il ministero degli Esteri di indagare se sono ancora in vita. Tutto nasce dalla richiesta del sindaco di Calalzo, Luca De Carlo, e degli esuli dell'Associazione Venezia-Giulia e Dalmazia di cancellare le onorificenze a Tito e ai suoi uomini per «indegnità». Il 16 aprile il prefetto di Belluno, Maria Luisa Simonetti, ha risposto con una lettera ufficiale: «Nel caso di Josip Broz Tito, insignito nel 1969 della distinzione di Cavaliere di Gran Cordone quale Presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia in occasione di una visita di Stato non è (...) ipotizzabile alcun provvedimento di revoca essendo il medesimo deceduto». Il dittatore jugoslavo aveva ottenuto la più alta onorificenza italiana dal presidente Saragat. «La norma prevede (...) che la persona oggetto dell'eventuale revoca debba essere preventivamente informata (...), onde poter presentare una memoria scritta a propria difesa» spiega il prefetto di Belluno a nome del governo. E poi aggiunge: «La possibilità di revocare l'onorificenza, pertanto, (...) presuppone l'esistenza in vita dell'insignito». Non solo Tito, ma pure i coniugi Ceausescu, despoti romeni, il satrapo africano Mobutu, il discusso leader palestinese Arafat, tutti Cavalieri di Gran Cordone della Repubblica italiana, si sono portati l'onorificenza nella tomba.
Altro discorso per i luogotenenti di Tito, ancora in vita, decorati dal Quirinale. Il prefetto scrive: «La Presidenza del Consiglio dei Ministri, sensibilizzata sul dramma delle foibe anche in sede parlamentare, ha reso noto altresì di aver richiesto al Ministero degli Esteri di riscontrare l'esistenza in vita di Mitja Ribicic, Franjo Rustja e Marko Vrhunec, stretti collaboratori del Presidente Tito, anch'essi insigniti di onorificenze (...) “Al Merito della Repubblica Italiana”». La Farnesina dovrà «effettuare gli opportuni accertamenti sulla situazione giudiziaria di ciascuno riguardo ai crimini commessi durante il periodo bellico di cui fossero stati ritenuti responsabili».
Massimiliano Lacota, presidente dell'Unione degli istriani di Trieste, conferma che «fino allo scorso febbraio erano tutti e tre ancora vivi in Slovenia. E per quanto riguarda Tito gli austriaci gli hanno tolto tutte le onorificenze ricevute in passato anche se è morto». Ribicic, Cavaliere di gran croce, che vive a Lubiana, è stato al vertice della repressione titina in Slovenia dal 1945 al 1957. Poi è diventato primo ministro jugoslavo. Nel 2005 venne accusato di crimini di guerra, ma dopo 60 anni le prove sono sparite. Rustja, Grande ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana, fu braccio destro del comandante del IX Corpus titino che occupò Trieste nel maggio 1945. Nei 40 giorni di terrore sparirono molti italiani. L'ex ammiraglio Rustja risiede a est della capitale slovena.

Vrhunec, commissario politico della brigata partigiana Lubiana e capo di gabinetto di Tito dal '67 al '73, è un altro Grande ufficiale della nostra Repubblica. Oggi è ospite di una casa di riposo sul Carso sloveno a pochi chilometri da Trieste.

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